E così, il tanto sospirato aiuto del Fondo monetario internazionale all’Argentina è arrivato. Una cifra più alta dei 50 inizialmente previsti, suddivisi in tre tranche che nelle previsioni partiranno con 19 miliardi di dollari entro la fine del 2019, per giungere poi a un totale di 57,1 miliardi entro il 2021. Un aiuto che, si spera, dovrà essere anti-inflattivo, anti-recessivo, espansivo e rassicurante per i mercati finanziari. Obiettivamente, un po’ troppo, anche se si tratta effettivamente di una montagna di denaro fresco.

argentinaDifficile prevedere se basterà a rivalutare una moneta che vede perdere inesorabilmente il proprio valore, nonostante i tassi di interesse innalzati a un livello surreale, del 60 per cento. Più verosimile sperare, nel breve periodo, a degli effetti anti-inflattivi, anche se a fronte di una dinamica che supera il 40 per cento sarà complicato evitare ripercussioni comunque pesanti sul potere d’acquisto di 41 milioni di cittadini.

Allo stesso modo, grosse incognite gravano su quello che è poi il problema principale, almeno secondo l’istituto di Washington. Vale a dire, la fiducia degli investitori, cioè di coloro che prestano soldi all’Argentina comprando i suoi titoli di Stato, che temono che il paese non sia più in grado di ripagare i suoi debiti, come la nefasta storia dei suoi default insegna. Nemmeno i tassi di interesse innaturalmente elevati hanno sortito grossi effetti in tal senso, e molto dipenderà dalle politiche che il governo attuerà nei prossimi mesi. A fronte di tutto questo, vi è l’altro lato della medaglia.


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In cambio del suo aiuto, il Fmi chiede anzitutto misure anti-inflazionistiche e controllo sulle oscillazioni della moneta: allargando un po’ l’analisi, in parole povere, una rigida politica economica che in Europa non esistiamo a definire austerity. E qui, è ancora vivo il ricordo di quello che avvenne nel 2000, quando il Fondo monetario garantì un prestito perfino superiore, di 60 miliardi di dollari. In cambio, il governo di Buenos Aires varò una serie di misure restrittive, come l’innalzamento della pressione fiscale, tagli alla spesa pubblica, aumento dell’età pensionabile e un abbassamento degli stipendi dei dipendenti pubblici del 30 per cento.

Tutto questo, però, non sortì gli effetti sperati, dato che la spirale recessiva non si placò, e alla fine del 2001 il Pil segnava il -14,7 per cento, il tasso di disoccupazione aveva superato il 20 e quasi metà della popolazione era sotto la soglia di povertà.

E lo stesso presidente Macri avverte che “i prossimi saranno mesi difficili” ma che le politiche che il suo governo sta portando avanti “sono le uniche possibili”. Davanti ha una Argentina in piena recessione, con stime non rincuoranti almeno fino alla fine del 2018 e un indice della povertà salito al 27,3 (il rapporto completo dell’Indec) per cento nel primo semestre dell’anno.

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