“Abbiamo un papa argentino”. È dal marzo del 2013 che i suoi connazionali lo sottolineano con orgoglio. È la prima volta e, chissà, forse sarà l’ultima. Ma è da allora che i fedeli argentini non riescono a spiegarsi perché “Francisco” abbia deciso di non tornare nella sua Buenos Aires dove, da pastore di anime, ha lasciato il segno. Anche perché i precedenti vorrebbero così. Giovanni Paolo II visitò la Polonia nel 1979, quasi un anno dopo la sua elezione e Benedetto XVI fece lo stesso recandosi a Colonia in occasione della Giornata mondiale della gioventù. Bergoglio no, pur avendo visitato Brasile, Bolivia, Paraguay, Ecuador, Cile e Perù. Con esclusione dell’Uruguay, cartina alla mano, ha girato attorno al suo Paese, ma senza realizzare il sogno degli argentini. Sorvolando l’Argentina destinazione Cile, il pontefice inviò un messaggio al Paese al quale, evidentemente, non basta.

Diverse sono le teorie, a seconda della simpatia che gli osservatori mostrano verso Francesco. C’è chi lo colloca “a destra” tra i peronisti più conservatori per poi cambiare idea sottolineando i rapporti distesi con le madri di Plaza de Mayo e con la precedente amministrazione che tutto era fuorché di destra, almeno come la si intende alle nostre latitudini. Infine, i (presunti) difficili rapporti con l’attuale presidenza darebbero ragione a chi ritiene difficile – almeno fino al 2019, data delle prossime Presidenziali – quell’abbraccio scontato, voluto, del popolo argentino. Che, se fosse confermato l’ultimo punto di vista, dovrebbe soffocare il desiderio di accoglierlo. Un ‘parere’, peraltro (molto) qualificato.

Perché a parlare è Victor Manuel Fernández, ex rettore di quella che a Buenos Aires è chiamata “Uca”, l’Università cattolica argentina, e fresco di nomina ad arcivescovo de La Plata. Le parole di Fernández – raccolte in un’intervista su La Tecla, rivista de La Plata – sono quasi una sentenza che potrebbe essere letta come di ultima istanza, considerando la vicinanza del prelato al pontefice. Di lui si dice che sarebbe l’autore di diversi testi del Santo padre. Secondo l’arcivescovo “non credo che verrà (in Argentina, ndr) e aggiunge anche il perché: “Qui ha già dato tutto quello che poteva dare. Ora ha un mondo immenso da aiutare”.



A leggere le dichiarazioni di Fernández sembra di comprendere nuovi motivi di attrito tra papa Francesco e l’attuale dirigenza nazionale argentina. L’approvazione – almeno in prima battuta, alla Camera – del progetto di legge che depenalizza l’aborto può essere considerato un gesto ostile verso il pontefice. Nel senso che Macri è un esponente di un centrodestra sudamericano, in linea di principio contrario a un passo del genere. Ma non ha mai cercato di influenzare il voto parlamentare, né in un senso né in un altro. Anzi, c’è chi ritiene che il sì a quella legge sia una condizione non scritta posta dal Fondo monetario internazionale per la concessione del maxi prestito da 50 miliardi di dollari. Peggio ancora, verrebbe da pensare, tenendo presente la poca propensione del Fondo ad ascoltare gli ‘ultimi’, che, al contrario, è ciò che ha fatto Jorge Mario Bergoglio tutta la vita. Tuttavia, c’è una speranza. “Comunque non escludo che, se ci sarà l’occasione, possa fare una breve tappa di passaggio qui”, ha chiuso l’arcivescovo de La Plata.


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