Dove mangiare carne argentina a Roma? Buona, s’intende. Le offerte non mancano, tra Baires e Gauchos. Non tantissime, in verità per una capitale europea e, per giunta, di un Paese che l’Argentina l’ha popolata per un buon 50 per cento. Prendendo spunto da alcuni commenti su un nostro post facebook, abbiamo voluto provare un locale che lì veniva citato, seppure senza menzionarlo espressamente.

Di sabato sera, momento normalmente più complicato per chi è dall’altra parte. Lo abbiamo cercato, trovandolo nel quartiere Monti, uno dei più in voga della movida capitolina, all’84 di via Panisperna. Si chiama “I Monticiani”. Non è un argentino 100%: ha un menù per metà italiano-romanesco, per metà argentino, per rispondere alla domanda dei clienti romani, inesorabilmente ‘amatricianesca’.


Premesso: non ci siamo ‘qualificati’. Abbiamo trovato il proprietario-gestore argentino e un suo connazionale tra i tre che componevano il personale di sala. Cordiali, senza esagerare, al pari delle due italiane di servizio ai tavoli. Sorridono (e non è poco), consigliano senza ‘spingere’ e, all’occorrenza, ti propongono un assaggino propedeutico all’ordine. Tra i clienti, va segnalato, abbiamo sentito parlare ‘argentino’. Ma andiamo alla ciccia.


Cominciamo dalla fine. L’ultimo atto è stato un bicchiere di liquore al mate offerto al bancone da Juan Ignacio, il proprietario. Un modo originale di concludere una cena argentina. Non è facile, difatti, trovarlo tra le proposte di altri ristoranti dedicati al Paese sudamericano. Un gusto ‘vero’, il dolce del rosolio che non soffoca il retrogusto amaro della yerba. Passo indietro: seguiamo l’ordine di rito. Promosse le empanadas, che non puoi non mangiare se cerchi argentino. Alla carne, al pollo, alle verdure.

Manca la superclassica jamón y queso, ma è comprensibile: un italiano orientato verso una cena argentina è affamato di carne. Il gusto del ripieno è autentico e generoso, spezie equilibrate, cumino presente. Su quelle alle verdure abbiamo ‘passato’ anche noi, principalmente carnivori, anche perché l’intenzione era quella di ‘analizzare’ la provoleta, come tradizione albiceleste comanda. Trattasi di formaggio fuso alla parrilla, la griglia. Facile a dirsi, meno facile è azzeccare la cottura giusta, evitando che arrivi a ‘forma liquida’ o che si bruci. La cottura era giusta. Poi sua maestà la carne.

Poiché siamo italiani, e quindi di base fastidiosi, ti chiedono la cottura. Ma è giusto lasciare alla loro mano. È vero che è questione di gusti, ma normalmente non suggeriamo noi a un gommista la pressione degli pneumatici… Nulla da eccepire sui vari tagli che abbiamo provato (si può scegliere tra due e tre etti): giusta morbidezza, il sapore è quello che vi sarà capitato di conoscere in Argentina.

La nota dolente, almeno per i veri appassionati, è il chimichurri: si sente meno di quanto dovrebbe. Lo abbiamo segnalato ricevendo una la risposta che ci aspettavamo e cioè che sono stati costretti a ‘moderarlo’ perché non apprezzato dal palato degli italiani che in questi anni hanno frequentato il locale. E non se ne capisce la ragione: quando decidi di mangiare etnico devi af(fidarti). Per chi in Argentina si è innamorato – come merenda, street food o uscita improvvisata e arrangiata con gli amici – del choripán, il panino tostato con chorizo (salsiccia) e chimichurri o salsa criolla, il menù lo prevede ma in variante italica. Viene servito a mo’ di bruschetta con la salsiccia aperta e chimichurri ‘al lato’. Per i più golosi, dulce de leche ovviamente presente.

Sul bere la scelta è tra una quindicina di etichette di vino argentino. Predomina, ovviamente, il malbec. Anche al calice, che abbiamo convenuto essere parecchio generoso rispetto alle abitudini della città. Difficile scegliere, per chi non ha particolari conoscenze circa la ottima produzione nazionale. Ma un assaggio, come detto, non lo negano. Momento amarcord del primo viaggio a Buenos Aires? La birra Quilmes c’è, nel classico ‘porrón’ da 340 ml. I prezzi dei vini, considerando l’importazione e l’ubicazione del locale, non sono alti né in bottiglia né al bicchiere: si parte dai 14 euro, 4,50 per un calice.

Lo stile del locale è pressoché italiano, anche se a tratti – forse perché ‘condizionati’ dai sapori che stavamo testando – sembra di essere in uno dei tanti punti ristoro dei vari barrios di Buenos Aires, quelli che cerchi più per la fiducia che per il lato fashion. A fare la sua anche il grande ventilatore a soffitto. Chi non ne ha mai visto uno in un appartamento o bar/ristorante della capitale argentina? Tango come musica di sottofondo: una selezione classica, volume giusto. Il conto? Ci è parso onesto, ci si aspettava di pagare qualcosa in più.

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