Era il 15 novembre 2017 quando il sottomarino della Marina militare argentina Ara San Juan svaniva nelle profondità dell’Atlantico del Sud. Da allora è ancora mistero sulle cause e sulla sorte dei 44 uomini e donne dell’equipaggio. Finora le ricerche non hanno dato alcun esito così come la dovuta indagine della magistratura contro ignoti. Ma i familiari di quei 43 uomini e dell’unica donna non hanno mai smesso di chiedere verità e di portare avanti ogni sforzo per localizzare e riportare in superficie il sommergibile.

Con quei corpi annientati, con ogni probabilità, dalla mancanza di ossigeno o dall’acqua entrata nel mezzo militare. Ma, ancora oggi, nessuna causa può essere esclusa perché nulla si sa di quello che è successo negli abissi del Mare argentino.

Eliana-Krawczyk, l’unica donna a bordo del San Juan

“Ingresso di acqua di mare attraverso il sistema di ventilazione del gruppo di batterie numero 3 ha innescato un cortocircuito e un principio di incendio. Batterie di prua fuori servizio”, comunicava il comandante dell’Ara San Juan, il capitano di fregata Pedro Martínez Fernández, alle 7.30 locali, aggiungendo il “vi terrò informati” di rito. Poi il silenzio straziante per chi sulla terraferma da quel momento piombava nell’incubo. Succedeva a 432 chilometri dalla costa patagonica all’altezza del Golfo San Jorge.


L’8 novembre il San Juan era partito da Ushuaia per una missione di pattugliamento del litorale argentino e dopo la scomparsa è emerso che il giorno prima si era verificato un problema elettrico e un principio di incendio nella sala macchine, risolto dall’equipaggio. Due giorni dopo la comunicazione dell’ultima posizione, il governo argentino fu costretto ad ammettere di aver perso ogni contatto attivando immediatamente il protocollo Sar per la ricerca e recupero dell’Ara San Juan.

Fu sollecitata collaborazione internazionale con risposta positiva da parte di Germania, Brasile, Cile, Colombia, Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Norvegia, Perù, Uruguay e Russia i cui mezzi si lanciavano in un’operazione di perlustrazione di un’area di 500mila chilometri quadrati.


E mentre la speciale commissione d’inchiesta va avanti con le varie audizioni, un nuovo evento piomba sulle speranze dei familiari dell’equipaggio. Proprio il 15 novembre, a un anno esatto dalla scomparsa, un nuovo stop alle ricerche. La Seabed Constructor, la nave norvegese utilizzata dalla società americana Ocean Infinity (quella che ha ricevuto l’incarico dal governo) deve sospendere le sue attività.

Incombe una revisione obbligatoria del natante, che sarà effettuata in Sudafrica dove rimarrà in cantiere fino a febbraio. Poi si vedrà. Perché il contratto tra azienda e governo prevede un minimo di attività di ricerca di sessanta giorni, ultimo dei quali coincide proprio con la data del primo anniversario. L’accordo prevede possibilità di estensione delle attività al 23 aprile del 2019.

Altri mesi in cui le famiglie dei membri dell’equipaggio continueranno a sperare e lottare. E c’è anche spazio per polemiche ‘quasi politiche’. Sono gli stessi familiari a chiedere che il presidente Mauricio Macri non partecipi all’atto di commemorazione previsto nella base navale di Mar del Plata. “Essendo capo delle forze armate è responsabile della scomparsa dei nostri 44 cuori d’acciaio”.

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