Il legame storico tra Italia e Argentina non è stato, nel recente passato, esente da ambiguità e reticenza da parte italiana. Ne è prova l’atteggiamento del nostro governo nei confronti della dittatura militare. Frastornato dal golpe cileno del 1973 (e dai richiami ‘d’ordine’ di Washington sulla vicenda), dalla crisi petrolifera e dalle turbolenze interne, Roma sembrò non comprendere i termini del dramma politico e umano del paese dopo la presa del potere da parte della giunta militare, anche quando giunsero notizie incontrovertibili sulla ‘guerra sporca’ condotta contro i suoi oppositori.

argentina dittatura bernardino osio


Il governo italiano aveva ritenuto che il ritorno al potere di Juan Domingo Perón nel 1973 avrebbe portato stabilità, ma il presidente non riuscì invece a impedire la radicalizzazione del movimento peronista, che si spezzò in due tronconi, e la crisi del sistema, aggravata dalla sua morte. Palazzo Chigi non si era neppure avveduto delle trame golpiste che maturavano alle spalle di Isabelita Perón e del paese. Al momento di prendere posizione contro la giunta (come invece aveva fatto in Cile) non seppe assumere un atteggiamento chiaro e netto contro la dittatura.

Indubbiamente, su questa linea di condotta pesarono interessi geopolitici ed economici (per esempio, la dottrina statunitense, l’influenza di Licio Gelli, gli investimenti economici della Fiat e di altre grandi aziende italiane), ma anche la timidezza della classe politica nella difesa dei diritti umani e l’inadeguatezza di molti diplomatici italiani.


Fa eccezione l’allora giovane consigliere Bernardino Osio che, dal punto di osservazione (tragicamente) privilegiato della ambasciata d’Italia a Buenos Aires, volle e seppe attivarsi per scuotere le istituzioni del suo paese dal torpore in cui si erano rifugiate. Le sue denunce e i suoi tentativi di salvare vite umane giunsero anche fino alla segreteria di Stato vaticana, dove la sua famiglia era ben conosciuta da oltre un secolo, avendo servito con incarichi di responsabilità numerosi pontefici.

La vicenda è narrata dal protagonista nel libro “Tre anni a Buenos Aires 1975-1978” (Viella Editore), di cui consigliamo la lettura anche (soprattutto) agli aspiranti diplomatici del futuro.

tre anni a buenos aires bernardino osio

Bernardino Osio, che ha lasciato la carriera, con il grado di ambasciatore, come apprezzato gegretario generale dell’Istituto italo-latino americano, è persona tutt’altro che banale sia per provenienza familiare che per preparazione culturale. Lo zio, Arturo Osio, fondatore e primo presidente della Banca nazionale del lavoro, fu avvocato e banchiere di primo piano dagli anni Venti fino alla caduta del regime fascista.

La sua casa era frequentata da intellettuali come Leo Longanesi, Mario Praz, Mino Maccari, Curzio Malaparte, Silvio D’Amico. Il nonno materno, Bernardino Nogara, fu anche lui banchiere con ruoli importanti per lo Stato italiano e per trent’anni fu il principale amministratore del patrimonio della Santa Sede (suo fratello Bartolomeo ricoprì per molti anni l’incarico di direttore generale dei Musei vaticani).

Bernardino Osio è invece un diplomatico di carriera a riposo che ha prestato servizio per quasi cinquant’anni, dal 1960 al 2008. Milanese di origini, ha operato in Svizzera, Argentina, presso la Santa Sede, in Ecuador, Spagna e Perù.

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