Come noto, il trionfo elettorale di Alberto Fernández, ampiamente previsto dopo il risultato delle primarie, aveva sparso gravi preoccupazioni sui mercati finanziari, circa il ritorno di un populista al potere. Troppo vivi erano, fra gli altri, i ricordi delle misure restrittive sui movimenti finanziari, i controlli sui capitali e sull’export agricolo, e la criticatissima nazionalizzazione della Ypf, la petrolifera di stato.

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Addirittura, a un certo punto l’opinione prevalente era che il neopresidente non fosse altro che un fantoccio nelle mani dell’ingombrante vice, quella Cristina Fernández de Kirchner che rimane tuttora l’emblema delle più recenti politiche peroniste in Argentina.

Tuttavia, da un’interessante analisi condotta dalla statunitense Global X emerge come le paure espresse dai mercati (che avevano addirittura parlato di un CFK 2.0) fossero probabilmente esagerate. Il nuovo leader ha ben presto preso le distanze dalle politiche economiche precedenti, mostrando un approccio pragmatico che lo ha nettamente avvicinato alla frangia più centrista del partito peronista.


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Tutto questo però, se ha certamente contribuito a un rasserenamento generale, non toglie nulla alla complessità della situazione macroeconomica ereditata da Alberto Fernández, sempre incentrata su tre grandi target generali: invertire o tamponare il trend recessivo, domare l’inflazione. E evitare l’ennesimo default.

Nel 2019, anche prima dell’esito elettorale, qualcosa si era mosso, fra aiuti del Fondo monetario internazionale, prezzi del petrolio in ascesa e aumento degli investimenti in infrastruttura. Restavano, però, l’alta disoccupazione, un’inflazione al di sopra del 50 per cento, e un peso estremamente debole.

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A fronte di una debolezza economica così strutturale, e dunque particolarmente sensibile verso la politica, Fernández ha mostrato di aver compreso come sia fondamentale offrire un quadro politico all’insegna della stabilità.

E qualcuno, soprattutto dalle parti di Washington, ha cominciato a crederci davvero, se si pensa che il Fmi ha previsto per l’Argentina il ritorno a un trend di crescita positivo, nell’ordine dell’1,4 per cento del Pil, anche se non prima del 2021. Allo stesso modo, è previsto un calo del debito pubblico, già entro quest’anno. E buone prospettive emergono anche per quanto riguarda il mercato del lavoro, con il tasso di disoccupazione che dovrebbe calare del 10 per cento, nel prossimo biennio.

Quanto queste ottimistiche previsioni si avverranno dipende, ovviamente, da una varietà di fattori, ma molto conterà se le politiche di Fernández saranno all’insegna di stabilità, pragmatismo ed efficienza.

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