L’Argentina sta affrontando le conseguenze di una politica economica non esente da errori da parte dell’esecutivo. Ma non corre il rischio di piombare in una crisi come quella del 2001. È il parere dell’economista Heinz Mewes illustrato a Deutsche Welle.

Opinione diffusa tra gli osservatori è che Mauricio Macri, all’atto della sua elezione, ha ricevuto una sorta di assegno in bianco da elettori e mercati allo scopo di mettere fine alle politiche di protezionismo portate avanti dai governi dei Kirchner. E, di conseguenza, di cercare e applicare misure per correggere i problemi cronici dell’economia del paese. Tra questi, in modo particolare combattere il mercato valutario nero, riforma fiscale, aumentare – fra i vari servizi – il prezzo di gas e elettricità distorti dai sussidi statali.


L’esecutivo di stampo liberale guidato da Macri si è mosso in questa direzione, eppure il peso è arrivato al rapporto allarmante di 40:1 sul dollaro. E gli argentini sono preoccupati perché temono di rivivere i momenti drammatici di 17 anni fa. Perché il governo non è finora riuscito a frenare questa crisi?

Secondo Heinz Mewes le cause della attuale crisi argentina sono varie. Tra queste, senza dubbio, la siccità straordinaria che ha provocato seri danni alla produzione nazionale e all’export. Inoltre, l’economia del paese è stata influenzata dalla recessione del Brasile che, non va dimenticato, è il principale mercato di esportazione per l’Argentina. Infine, la crisi della lira turca e la preoccupazione per l’aumento degli interessi a livello internazionale che ha determinato la fuga degli investitori dai mercati emergenti, Argentina non esente. Ma sono da includere alla lista anche alcuni errori – gravi secondo Mewes – che hanno preoccupato i mercati.

L’economista sottolinea che il governo di Buenos Aires continua a commettere passi falsi come la creazione di nuovi titoli di debito pubblico come i Letes (Letras del Tesoro de la Nación, titoli in dollari a breve termine) per rimpiazzare i Lebac (Letras del Banco Central, titoli in pesos a breve termine). Operazione che aumenta l’indebitamento dello Stato invece di diminuirlo, fattore di una certa emergenza.

Dall’inizio del suo mandato, Macri ha assunto decisioni corrette per normalizzare in primo luogo i rapporti (fondamentali) con i creditori e con il mercato finanziario internazionale. Inoltre, sono state adottate misure per la riduzione del debito pubblico e il deficit attraverso lo smantellamento delle sovvenzioni pubbliche. In questo modo si dovrebbe scongiurare l’aumento dell’inflazione, il cui tasso effettivo è sempre stato negato dal governo precedente. Il problema è che ciò ha portato all’aumento dei prezzi di quei servizi (energetici in testa) fino a quel momento ‘protetti’ da sussidi con la conseguenza di rendere più difficile la lotta all’inflazione.

Il grave errore di Macri, secondo l’economista, è stato quello di ‘abbassare la guardia’ nel 2017 quando l’inflazione non dava segnali di diminuzione. Di qui i dubbi di molti investitori sulla condotta reale del suo governo circa le promesse di riforma. Di qui alla richiesta di aiuto al Fondo monetario. Il punto di vista di Mewes è che si è trattato di una scelta corretta e necessaria. Non per altri economisti secondo i quali l’accesso al Fmi è stato prematuro, evento che ha innescato nervosismo nei mercati.

Sul fronte di nuovi capitali da oltre confine molti ricordano la promessa di Macri del 2015: “Una pioggia di investimenti esteri” al fine di rivitalizzare l’economia. Ma si è trattato soprattutto di occasioni di speculazione finanziaria e poco sull’economia reale. Bene ha fatto il governo Macri a invitare nuovi investitori i quali, però, sono ancora in attesa di valutare la concretezza e bontà dei piani elaborati dall’esecutivo. Tra questi Mewes ritiene giusto e doveroso il risanamento dei conti pubblici “anche a costo di una recessione” per poi incamminarsi verso un cammino virtuoso anche agli occhi di investitori e partner internazionali.

Ma un nuovo 2001 alle latitudini di Buenos Aires sarebbe da escludere. La Banca centrale dispone di 55 miliardi di dollari di riserve in valute ai quali vanno aggiunti i 50 accordati dal Fondo monetario. Cifre che costituiscono una solida base di sicurezza. Che nel 2001 mancava.

Intanto, nelle ultime ore del 31 agosto, il peso ha recuperato terreno circa il 5 per cento sul dollaro, alla chiusura del mercato dei cambi, dopo un forte deprezzamento di mercoledì e giovedì. L’Argentina, terza economia dell’America Latina, sperava in un rimbalzo del peso, che si è deprezzato di oltre il 50 per cento dall’inizio dell’anno.

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