I dati di maggio 2018, appena elaborati nella loro definitività, aggravano l’immagine recente del paese e appesantiscono la ‘gerencia’ del governo Macri. L’economia argentina registra un freno del 5,8 per cento, contrariamente alle previsioni dell’1,3 azzardate da Bloomberg. Con l’ulteriore incubo che la caduta potrebbe prolungarsi per il resto dell’anno. Anche il presidente aveva ammesso che il paese è “nel pieno di una tormenta“, manifestando tuttavia ottimismo per il futuro già a breve termine. Un dato che risulta il peggiore da diversi anni, precisamente dal mese di giugno del 2019. Secondo l’Indec, l’istituto nazionale di statistica, alla base c’è soprattutto la siccità che ha messo in ginocchio un settore chiave, detereminando un calo della produzione agricola addirittura del 35,2 per cento. Calo anche per la pesca (-29,2 per cento), seguita da trasporti e comunicazione (-4,9). Ad attenuare il calo dell’economia alcuni settori che hanno performato positivamente, come quello immobiliare con un +4, l’intermediazione finanziaria oltre il 10 per cento e l’edilizia che ha registrato un aumento del 4,4 per cento. Stando così le cose, secondo gli analisti, il rischio paese cresce del 92 per cento nei primi sette mesi del 2018.

Difatti, continua ad aumentare la fuga di capitali stranieri dal paese. Secondo dati divulgati dalla Banca centrale di Buenos Aires, nei primi sei mesi del 2018 è stato registrato un deflusso di 16,676 miliardi di dollari e nel solo mese di giugno è stato pari a 3,075 miliardi di dollari. L’uscita di valuta estera ha raggiunto i 50,799 miliardi di dollari dal dicembre 2015, quando Mauricio Macri è arrivato alla Casa Rosada. Una cifra molto vicina al prestito d’emergenza ‘Stand by’ che l’Argentina ha richiesto al Fondo monetario internazionale e poi ottenuto. La stessa Banca centrale ha precisato che durante il 2018 la perdita di dollari in riserve è aumentata del 118 per cento rispetto allo stesso periodo del 2017. Tuttavia, l’istituto sottolinea come non tutto sia una fuga di capitali e che la destinazione principale dei dollari acquistati al dettaglio, che corrisponde al 96 per cento delle transazioni, sono i depositi in dollari. Una tendenza che ha registrato un consistente aumento negli ultimi anni.

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