L’Argentina torna a essere un mercato emergente. Categoria ultimamente ‘sotto controllo’ a causa di un’economia che rallenta, ma tuttavia più dignotosa rispetto al dover accettare di essere economia ‘di frontiera’. Cioè da guardare con diffidenza (gli occhi sono quelli degli investitori) a causa della sua stabilità e di politiche ecnomiche e monetarie azzardate, di chiusura al mercato globale. A Buenos Aires la notizia è arrivata all’alba di giovedì 21 giugno. Un risveglio confortante, dunque, a poche ore dall’apertura di una linea di credito di 50 miliardi da parte del Board del Fondo monetario internazionale. A decretare il ritorno in un girone più qualificato dell’economia globale è Morgan Stanley Capital International. Questo, secondo le prime analisi, consentirà al Paese sudamericano di intercettare investimenti per 4,5/5 miliardi di dollari. Dunque, una boccata d’aria dopo sei settimane di turbolenze finanziarie. 

La sede della Borsa di Buenos Aires


L’Argentina aveva perso le ‘insegne’ di economia emergente nel 2009, durante la prima amministrazione guidata da Cristina Fernández, a causa della decisione di imporre controlli cambiari che, di fatto, ostacolavano la realizzazione di movimenti finanziari internazionali. Quindi le imprese straniere non potevano ‘girare’ dividendi alle loro case madri e, non meno limitante, chi effettuava investimenti finanziari non aveva chiaro se e quando potersi ritirare. La situazione non è (subito) mutata con l’ascesa di Maurizio Macri alla presidenza a causa delle difficoltà tecniche da rimuovere con appositi provvedimenti normativi e per via della instabilità politica, essendo parte del parlamento nazionale ancora molto influenzato dal blocco kirchenerista. Quello di tornare a fare parte degli emergenti è, dal 2015, il grande obiettivo del presidente italo-argentino, passo reso più agevole (o, in linea di principio, non impossibile) dall’aver vinto le elezioni politiche di medio termine (il sistema è molto simile a quello statunitense). Tocca a lui, ora, onorare gli impegni col Fmi e saper approfittare di questa nuova apertura di credito da parte degli analisti.


Tuttavia, la situazione resta incerta. Il peso ha perso la metà del suo valore nel breve lasso di tempo tra maggio e giugno di quest’anno, con tassi di interesse arrivati al 40 per cento e una inflazione reale che oscilla tra il 27 e il 30 per cento. Ma è un (nuovo) inizio. Gli operatori finanziari che comprano titoli di Paesi emergenti metteranno nel loro portafoglio anche quelli argentini per il semplice fatto che l’Argentina rientra nell’indice dei titoli dei mercati emergenti. Sull’onda dell’euforia, difatti, il Merval – il principale indice della Borsa di Buenos Aiers – è salito del 6,1 con performance positive azionarie che sono arrivate a toccare il + 18,5 per cento. Effetti anche a Wall Street sui principali nomi argentini come, tra gli altri, Grupo Galicia, Irsa, Pampa Energía, Telecom, Transportadora Gas del Sur e Loma Negra.


Gli operatori argentini prevedono un ritorno deciso degli investitori nel mercato azionario. Per i titoli di Stato è ancora presto: il 2001 è ancora un brutto ricordo e si attendono i primi segnali da parte del governo in termini di riforme strutturali concrete a cominciare da riduzione e razionalizzazione delle imposte e riforma del mercato del lavoro compresa quella che viene definita “industria del juicio”, cioè contenziosi giudiziari infiniti tra datori e lavoratori, considerata uno dei principali ostacoli per le Pmi del Paese.

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