E così, il tanto sospirato aiuto del Fondo monetario internazionale all’Argentina è arrivato. Una cifra più alta dei 50 inizialmente previsti, suddivisi in tre tranche che nelle previsioni partiranno con 19 miliardi di dollari entro la fine del 2019, per giungere poi a un totale di 57,1 miliardi entro il 2021. Un aiuto che, si spera, dovrà essere anti-inflattivo, anti-recessivo, espansivo e rassicurante per i mercati finanziari. Obiettivamente, un po’ troppo, anche se si tratta effettivamente di una montagna di denaro fresco.
Allo stesso modo, grosse incognite gravano su quello che è poi il problema principale, almeno secondo l’istituto di Washington. Vale a dire, la fiducia degli investitori, cioè di coloro che prestano soldi all’Argentina comprando i suoi titoli di Stato, che temono che il paese non sia più in grado di ripagare i suoi debiti, come la nefasta storia dei suoi default insegna. Nemmeno i tassi di interesse innaturalmente elevati hanno sortito grossi effetti in tal senso, e molto dipenderà dalle politiche che il governo attuerà nei prossimi mesi. A fronte di tutto questo, vi è l’altro lato della medaglia.
Tutto questo, però, non sortì gli effetti sperati, dato che la spirale recessiva non si placò, e alla fine del 2001 il Pil segnava il -14,7 per cento, il tasso di disoccupazione aveva superato il 20 e quasi metà della popolazione era sotto la soglia di povertà.
E lo stesso presidente Macri avverte che “i prossimi saranno mesi difficili” ma che le politiche che il suo governo sta portando avanti “sono le uniche possibili”. Davanti ha una Argentina in piena recessione, con stime non rincuoranti almeno fino alla fine del 2018 e un indice della povertà salito al 27,3 (il rapporto completo dell’Indec) per cento nel primo semestre dell’anno.