L’Argentina è il più vulnerabile dei paesi emergenti: è la sintesi di una analisi realizzata dall’agenzia Bloomberg sulla base di dati del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. Con quest’ultimo aggiornamento, l’Argentina supera la Turchia e il Sudafrica, che risultano secondo e terzo paese più vulnerabile nella categoria degli emergenti.

Secondo l’agenzia americana, sono cinque i fattori che hanno determinato una riclassificazione in negativo, che segue i recenti alert di Moody’s e Standard and Poor’s relativi alla debolezza dell’economia argentina.

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Innanzitutto l’ancora elevato debito estero di breve scadenza, che risulta al 40,5 per cento sul prodotto interno lordo. C’è, poi, l’inflazione che, come sottolinea Bloomberg, risulta di 38,5 punti superiore all’obiettivo che il governo aveva indicato nel 10 per cento. Un livello che, allo stato attuale il governo di Buenos Aires non riuscirà a raggiungere nonostante i timidi cali dell’aumento del livello dei prezzi registrato negli ultimi tre mesi.


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Non meno determinante è il basso tasso di riserve internazionali rispetto al livello di altri paesi: per Buenos Aires è dell’85,9 per cento, meno rassicurante, per esempio del 159,9 per cento del vicino Brasile. Il deficit debito/Pil è al 2 per cento e, a tutto ciò, secondo Bloomberg si aggiunge la poca azione dell’esecutivo rispetto i principali fattori negativi macroeconomici.

Tutte condizioni che, segnala l’agenzia newyorchese, fanno dell’Argentina il paese più debole a eventuali cortocircuiti finanziari innescati da altri paesi. È anche per questo che, negli ultimi giorni, il rischio paese è tornato a superare la soglia degli 800 punti base.

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Un ‘alert’ vero e proprio arriva, invece, da Moody’s e attiene essenzialmente alla sfera politica, anche se come base di argomentazione sulla tenuta economico-finanziaria del paese. Secondo l’agenzia di rating statunitense, un’eventuale sconfitta di Mauricio Macri alle elezioni del 27 ottobre avrebbe come conseguenza per l’Argentina una maggiore difficoltà di accesso al mercato di capitali. Una eventualità che costringerebbe il prossimo governo a realizzare una ristrutturazione del debito che attualmente è quasi il 90 per cento del Pil.

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