L’Argentina ritrova una tra le sue tradizionali vocazioni commerciali. Nel 2018 la quantità di carne bovina esportata è aumentata di oltre il 77 per cento con un aumento del 50 per cento in termini di valore commerciale. A trainare il settore è l’apertura di nuovi e vecchi mercati grazie ai quali si compensa la stagnazione della domanda interna dovuta agli attuali venti di crisi che soffiano sul paese.

Gli accordi e i negoziati in corso con Cina, Russia, Israele e Unione Europea si rivelano strategici e porteranno a un ulteriore aumento delle dinamiche di export. L’aumento delle vendite sui mercati esteri hanno così permesso all’Argentina di recuperare posizioni nella classifica degli esportatori mondiali di carne. Se nel 2017 era ferma al 14esimo posto, il 2018 si è chiuso con un confortante settimo.

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Più problematico, però, risulta il mercato interno. Come segnalato dagli analisti, la contrazione dei consumi di carne bovina è tipica di contesti segnati dalla riduzione del potere di acquisto dei consumatori. Alla base c’è un tasso di inflazione che ha abbondantemente superato il 45 per cento nel 2018, non accompagnato da corrispondenti adeguamenti salariali. In scenari come quello argentino attuale il consumo si sposta su carni più economiche come la suina e pollame.


In Argentina ogni anno si consumano 60 chili di carne bovina pro capite, dato che la posiziona come secondo maggiore consumatore mondiale, superato solo dal vicino Uruguay.

Tuttavia, nel 2018 in Argentina il settore non ha espresso tutto il suo potenziale. Secondo uno studio specifico di Ecolatina, ha dovuto fare i conti con i decisi aumenti dei costi per l’alimentazione degli animali a causa della siccità e della svalutazione della moneta locale. Per esempio, il prezzo del mais è salito del 77 per cento. Allo stesso modo, sui produttori hanno gravato gli aumenti delle tariffe energetiche.

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