Anche i big del commercio mondiale non sembrano essere risparmiati dalle turbolenze economiche in Argentina. Fa un certo effetto registrare che un marchio considerato inossidabile, la Coca Cola, dichiari lo stato di crisi. E, invece, ha chiesto quello che nelle procedure argentine è denominato ‘preventivo de crisis’.

Si tratta di un meccanismo obbligatorio da attivare presso il ministero del Lavoro che precede i licenziamenti per stato di crisi per le imprese con più di 400 dipendenti. E per effetto del quale vengono autorizzati licenziamenti collettivi con una riduzione del 50 per cento delle indennità da corrispondere ai lavoratori per cause non imputabili all’azienda tra le quali rientra, appunto, la riduzione della produzione.

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Alla base, fanno sapere dalla Coca Cola Femsa, una diminuzione della produzione addirittura del 9,8 per cento nei primi nove mesi del 2018, a causa della contrazione generalizzata dei consumi. Con conseguenze inevitabili sul periodo successivo. E per questo il colosso Usa dichiara di dover “adeguare la forza lavoro all’attuale situazione di mercato e produzione” nello stabilimento di Pompeya, quartiere a sud di Buenos Aires. Secondo il quotidiano economico Ambito Financiero, a rischio sarebbero seicento dei 2.500 lavoratori.


La Coca Cola Femsa, joint venture tra il gigante di Atlanta e il gruppo messicano Femsa, opera in Argentina dal 1994. Oltre alla sede di Pompeya, altre bevande a marchio The Coca Cola Company si imbottigliano anche nello stabilimento di Monte Grande, nella provincia di Buenos Aires. Attualmente sono più di tremila i dipendenti.

Ma la Coca Cola non è l’unica grande azienda ad avere chiesto un tavolo presso il ministero del Lavoro. A precederla, difatti, società come la Editorial Atlántida, la compagnia aerea Avianca, Fate e altre come Pauny e Eskabe.

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