Sono più di 300mila i lavoratori che si ritrovano danneggiati dalle conseguenze del coronavirus in Argentina. Emerge da uno studio del Cepa, il Centro de economía politica argentina. Dal 15 marzo al 15 aprile, tra licenzimenti, sospensioni e riduzione di stipendio si sono registrati 309.672 casi nel mercato del lavoro. Una dinamica pesante nonostante gli strumenti normativi e regolamentari posti in essere dal governo a protezione dei lavoratori.

Tra gli altri dati, i licenziamenti effettivi, nel periodo considerato, sono stati 5.386, le sospensioni non retribuite 7.223, 3.070 gli stipendi corrisposti in ritardo e 231.483 gli accordi aziendali di riduzione di stipendio. C’è, tuttavia, un aspetto sottolineato dallo studio del Cepa: nonostante la critica realtà del paese non c’è stato un numero di licenziamenti elevato.

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L’esecutivo nazionale, difatti, sorto il caso Techint, ha disposto il divieto di ricorrere a licenziamenti e sospensioni dei rapporti di lavoro per tentare di mitigare gli effetti del coronavirus sul mondo del lavoro e sui settori più vulnerabili della società. Ciononostante, i licenziamenti registrati in un mese hanno superato le 5mila unità in tutto il paese Il 60 per cento di questi è stato disposto da quattro grandi gruppi aziendali e i settori più colpiti sono quello dei servizi (58 per cento), seguito dalle costruzioni (19), industria (14) e commercio (5).


L’aspettativa del governo è, a fine emergenza sanitaria, di contenere il più possibile la chiusura di aziende, fenomeno peraltro già accentuato dall’ultima recessione, e il numero di posti di lavoro sacrificati dalle necessarie misure di contenimento. Tra i fascicoli più ‘pesanti’ dell’attualità e del post emergenza, anche in Argentina, c’è quello della tenuta sociale del paese.

L’impatto di pandemia e quarantena sull’economia argentina

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