Il 20 marzo è una data di bilanci per l’Argentina, esattamente un anno dopo la prima decisione di ricorrere alle misure di isolamento obbligatorio, quarantena che si è poi rivelata tra le più lunghe del mondo. Alla stessa data del 2021, il coronavirus in Argentina ha totalizzato 2.241.739 contagi provocando la morte di 54.517 persone in tutto il paese. Ma il bilancio, inevitabilmente, è anche relativo all’impatto della pandemia sull’economia nazionale.

covid argentina anno pandemia effetti economia

Quella del 2020 è stata la caduta di prodotto interno lordo più consistente dai tempi della crisi 2001-2002. Secondo i dati ufficiali dell’Indec, il locale istituto di statistica, l’economia argentina ha subito un calo del 10 per cento. Aprile e maggio sono stati i mesi che hanno registrato la più alta battuta d’arresto arrivando rispettivamente a -25 per cento e -20 per cento su base annuale. Si tratta dei mesi in cui le misure di contenimento sono state più intense.

La primavera australe è stato il momento della ripresa ma la crescita dei singoli mesi non ha portato il paese alle condizioni economiche precedenti alla pandemia. A soffrire maggiormente, anche nella attuale fase, soprattutto il commercio e le attività legate al turismo.


Pesante anche le conseguenze sul mercato del lavoro. Stando ai dati del sistema previdenziale argentino, il 2020 si è chiuso con 11,9 milioni di lavoratori attivi, in calo rispetto a un 2019 già interessato dalla recessione. Il secondo semestre dello scorso anno si registrava già un tasso di disoccupazione del 13,1 per cento.

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Nel secondo semestre 2020 sono stati recuperati 200mila posti di lavoro dei 400mila persi a maggio per la pandemia. Una ripresa che si sta registrando anche nei primi mesi del 2021. A perdere la maggior parte della forza lavoro soprattutto commercio, ristorazione e turismo, trasporti.

Compatibilmente alle condizioni macroeconomiche e a un mercato del lavoro in difficoltà, anche i livelli salariali hanno mantenuto quella tendenza al ribasso cominciata già nel 2018. In termini reali si parla di una perdita di cinque punti percentuali.

Anche l’inflazione, tra le attuali emergenze macroeconomiche dell’Argentina, ha risentito dell’andamento della pandemia e relative misure di contenimento. Nei primi mesi dell’emergenza sanitaria ha toccato, ad aprile e maggio, i livelli più bassi registrati dalla fine del 2017.

È stato il risultato della politica di controllo dei prezzi decisa dal governo Fernández, che si è aggiunto alla difficoltà di misurazione dovuta alla quasi totale assenza di offerta di beni e servizi di quei settori direttamente colpiti dalle restrizioni. Poi, l’inversione di tendenza a aprtire dal mese di agosto con aumenti mensili medi del 3 per cento.

Nel 2020 l’inflazione in Argentina (36,1 per cento) è stata significativamente al di sotto di quella del 2019 (53,3 per cento) ma lo scenario attuale e del futuro a breve termine appare decisamente più complicato. La stima del governo per il 2021 è del 30 per cento ma già i primi tre mesi dell’anno mostrano un aumento dei prezzi attorno al 45 per cento.

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L’andamento della pandemia si osserva anche sulla bilancia commerciale. Nel 2020 l’Argentina ha registrato un surplus di 12,528 miliardi di dollari, il secondo più alto dal 2009. Tuttavia, l’interscambio commerciale ha subito un calo del 15 per cento su anno sia dell’import che dell’export, conseguenza della diminuzione di scambi a livello globale e della recessione in Argentina, ormai al terzo anno. A tenere in piedi l’export argentino è il settore agroindustriale, con performance superiori alla media degli ultimi anni.

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L’impatto della situazione economica sui conti pubblici ha visto salire il deficit al 6,5 per cento sul Pil, effetto dell’aumento di spesa pubblica del 63,5 per cento per il ricorso necessario ai programmi di tutela di famiglie e lavoratori colpiti dalla pandemia.

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