La dura sconfitta della coalizione di governo alle primarie dello scorso 11 agosto per le presidenziali ha prodotto uno choc finanziario di dimensioni quasi incalcolabili. Agosto si è trasformato in un mese nero per l’Argentina.

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Le azioni di società argentine quotate a Wall Street hanno perso fino al 72 per cento, i titoli di Stato una media del 55 per cento, il dollaro ha ‘smontato’ ulteriormente il valore del peso argentino per un 38 per cento. Infine, il rischio paese, calcolato sui buoni del Tesoro Usa a dieci anni, è arrivato a toccare i 2.500 punti base, livelli che non si registravano da una quindicina di anni.

La borsa di Buenos Aires ha accumulato perdite del 41,5 per cento in pesos e del 57 in dollari. In modo particolare, il 12 di agosto, giorno successivo al voto, la piazza della capitale argentina ha vissuto performance negative che non si vedevano dal disastro del 2001.


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Il mercato locale e quello internazionale avevano scommesso su una differenza molto più ridotta tra Mauricio Macri e Alberto Fernández: quei 16 punti di distacco hanno scatenato un nervosismo inatteso, con previsioni nefaste sul futuro politico ed economico del paese.

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Poi, dopo le primarie, l’ingresso in una spirale apparentemente senza soluzione agli occhi degli investitori, nonostante i segnali di rassicurazione lanciati dal candidato kirchnerista alla Casa Rosada. Ancora, le dimissioni di Nicolás Dujovne da ministro delle Finanze, pedina fondamentale dell’esecutivo per i rapporti con i mercati e il Fondo monetario internazionale.

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I dubbi sul futuro del paese hanno innescato una ulteriore fuga di capitali, con la vendita di azioni, titoli di Stato e rifiuto di sottoscriverne di nuovi.

Nella borsa di Buenos Aires le peggiori cadute sono state quelle di società del settore energetico e finanziario, come Transportadora Gas del Norte (-68,2 per cento), Transener (-63,2%), Edenor (-59%), Central Puerto (-58%) e Grupo Financiero Galicia (-57,3%).

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