L’Argentina ha superato l’ostacolo del board esecutivo del Fondo monetario internazionale. Riunito per decidere sulla ristrutturazione del debito di oltre 44 miliardi concesso a Buenos Aires nel 2018 all’allora governo di Mauricio Macri, ha manifestato il suo consenso (informale) all’accordo di massima raggiunto nelle scorse settimane. L’organo del Fmi, tuttavia, non ha nascosto i suoi dubbi di natura-tecnico finanziaria sul programma pensato per l’Argentina.

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Un recente colloquio tra Joe Biden e Alberto Fernández

Emerge, inoltre, un dato politico importante: il sostegno del rappresentante degli Stati Uniti al piano finanziario per l’Argentina. Un atto che segue la recente promessa dell’amministrazione di Joe Biden di accompagnare gli sforzi delle due parti per una soluzione in grado di condurre il paese sudamericano sul sentiero del risanamento dei conti e della crescita economica. Al sì degli Usa, all’interno dell’organo del Fondo, si è aggiunto quello degli altri soci di peso, Germania, Giappone e Canada.

A Washington, a metà gennaio, dall’incontro tra i titolari degli Esteri dei due paesi, Antony Blinken e Santiago Cafiero, era già emerso l’orientamento del governo Usa, chiaramente influenzato dall’utilità circa alleanze e stabilità regionale. La posizione degli Stati Uniti nel board del Fmi era già stata anticipata da Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, all’ambasciatore argentino negli Usa, Jorge Argüello. Un avallo politico per costruire l’uscita dalla crisi del debito estero.


Tuttavia, il via libera del board è di carattere generale, fermandosi alle linee generali dell’accordo tra Fmi e Argentina. È stata la stessa delegazione statunitense a segnalare dubbi sul percorso che Buenos Aires deve intraprendere per il raggiungimento dell’equilibrio fiscale. Allo stesso modo, è stata posta la questione dell’assenza di vere riforme strutturali, che possano garantire una costante riduzione della spesa pubblica.

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Kristalina Georgieva (Fmi) e il ministro dell’Economia, Martín Guzmán

Altra questione non ancora risolta nei dettagli è quella dei sussidi al settore energetico. La promessa argentina è diun aumento della produzione che possa portare a una diminuzione dei costi, con il progressivo allentamento degli aiuti statali.

I tempi stringono e condizioneranno le scelte del governo di Alberto Fernández. Il 22 marzo l’Argentina dovrà versare al Fondo una rata da 2,8 miliardi di dollari e non è una operazione agevole per le condizioni delle attuali riserve disponibili della Banca centrale. Entro quella data l’esecutivo dovrà riuscire a fare approvare dal parlamento la legge che ratifichi l’accordo sul debito col Fmi.

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È una condizione politica di condivisione chiesta dall’organismo. L’opposizione si è resa disponibile ma è all’interno della maggioranza, per la quasi contrarietà dell’ala dura, il vero ostacolo. Senza pagamento e senza ‘Legge Fmi’ c’è solo il default.

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