I negoziati tra l’Argentina e il Fondo monetario internazionale vivono il massimo momento di difficoltà. Che l’accordo sulla ristrutturazione del debito di oltre 44 miliardi di dollari non arriverà entro il mese di marzo ormai non viene nascosto né dal governo di Alberto Fernández né dai vertici del Fmi. L’ottimismo del dialogo degli ultimi mesi ha lasciato spazio ai dubbi. Sui contenuti, chiaramente, ma anche con non irrilevanti letture politiche.

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Joe Biden e Alberto Fernández al G20 di Roma

I tempi si sono dilatati ulteriormente, insomma, fino a portare i mercati a non escludere che l’accordo potrebbe arrivare anche nel secondo trimestre del 2022. La soluzione passerà da Washington, questa volta intesa non come sede del Fmi ma come governo degli Stati Uniti. Il ministro degli Esteri argentino, Santiago Cafiero, è negli States per riunirsi con l’omologo Antony Blinken, oltre a Nancy Pelosi.

Un viaggio ‘di necessità’, che mette insieme il debito con il Fmi e la politica internazionale e regionale. La nota ufficiale della cancelleria di Buenos Aires parla di un’agenda fitta tra clima, diritti umani e politica estera argentina. Cafiero ribadisce gli ottimi rapporti tra i due paesi. Nei fatti è così e lo stesso ministro è arrivato negli Usa – paese con la quota più alta nel Fmi e quindi fondamentale – per capitalizzare il sostegno ai negoziati che Joe Biden ha anticipato a Alberto Fernández durante il G20 di Roma.


I piani di argomentazione sono due, uno politico e uno tecnico-economico. Sul primo c’è la visita ufficiale di Fernández, il prossimo mese, in Russia e Cina per rafforzare il dialogo politico ed economico. Una mossa di forza di Buenos Aires? L’Argentina crede nel multilateralismo, precisano dall’esecutivo, ma non è escluso che l’atteggiamento di attesa di Washington dipenda da questo.

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Il ministo degli Esteri argentino, Santiago Cafiero

C’è, non meno importante, la questione dei rapporti all’interno della regione e tocca a Cafiero spiegare agli Usa che il governo Fernández non ha interesse a creare una alleanza solida con Cuba, Venezuela e Nicaragua. Neanche dopo l’assunzione della presidenza pro tempore della Celac.

Sul piano economico-finanziario, il governo Fernández ha chiaro l’insieme delle conseguenze in caso di mancato accordo di ristrutturazione del debito col Fmi. Lo scenario descritto da diversi esperti parla di attività economica che si ridurrebbe di almeno il 2 per cento, l’inflazione su all’85 per cento, come ancora più in alto arriverebbero il rischio paese e il cambio sul dollaro. Tutto tradotto in nuova recessione. Oltre, s’intende, alla chiusura dei rubinetti del credito da parte degli organismi multilaterali, con dirette conseguenze anche sul settore privato.

L’attrito tra Argentina e Fmi è sul programma di rifinanziamento del debito. L’istituto finanziario insiste su maggiore equilibrio tra spesa pubblica e entrate in un percorso per arrivare al deficit zero di quattro anni, che Buenos Aires vorrebbe portare a sei. Il Fondo ha fatto sapere che c’è una intesa di massima sulla necessità di migliorare gradualmente le finanze dello Stato affinché si possa spendere meglio in infrastrutture e sociale.

Il taglio della spesa resta al centro della resistenza argentina: il governo, e la sua base elettorale, non accetta un programma di quelli ‘tradizionali’ elaborati dal Fmi in più occasioni. Chiede la riflessione su un approccio diverso, su condizioni di debito considerate inique nei rapporti con economie in difficoltà, soprattutto in un momento storico funesto come l’attuale.

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