Debito Argentina – I principali creditori assediano il governo di Buenos Aires la cui posizione si è indebolita nel corso dell’ultima settimana. Dopo l’offerta del 6 luglio, da tre grandi comitati di creditori è arrivato un netto rifiuto con relativa controproposta. Questa, però, è stata definita “inaccettabile” dall’esecutivo argentino spiegando di avere già fatto “ogni sforzo possibile”. Una mossa di resistenza che, però, rischia di essere frustrata da una nuova formale comunicazione della controparte (Debito Argentina, il governo: “È la nostra ultima offerta”. E apre a modifiche legali)

Ai gruppi di creditori Ad Hoc Argentine Bondholder Group, Exchange Bondholder Group e Argentine Creditor Committee, che inizialmente rappresentavano circa un terzo del valore del debito sottoposto a ristrutturazione, si sono uniti altri fondi di investimento. Insieme, assicurano, hanno la disponbilità fino al 60 per cento dei titoli da scambiare. Una percentuale, dunque, che metterebbe l’Argentina all’angolo: accettare la più onerosa controfferta o dichiarare il nono default della storia. O, almeno, cercare un compromesso.

Un comunicato dei fondi coalizzati, nello specifico, dichiarano di avere una rappresentanza molto ampia: il 60 per cento dei bond Discunt e Par dello scambio titoli del 2005 nonché il 51 per cento dei titoli Globales emessi dal governo Macri dal 2016. Tra le trenta sigle firmatarie, con BlackRock alla testa, tra gli altri, i fondi di investimento Alliance Bernstein, Ashmore, Fidelity e Monarch.


Non è chiara la percentuale totale di debito in mano ai fondi ‘sfidanti’, anche perché alcuni normalmente non dichiarano il proprio portafoglio, ma assicurano che si tratta di un livello sufficientemente alto per costringere l’Argentina a nuove valutazioni. Che significa altri negoziati in vista della imminente scadenza dell’offerta il 4 agosto. A tal fine, Buenos Aires aveva già preso in considerazione un ulteriore rinvio al 28 di agosto. Il governo ha fissato nel 50 per cento la soglia di accettazione necessaria per considerare perfezionato l’accordo di scambio titoli.

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Il presidente Fernández e il ministro dell’Economia, Guzmán

Di certo c’è la distanza tra Argentina e creditori in termini di valore, anche se con le ultime occasioni di confronto si è ridotta. A fronte dei 53,3 dollari ogni cento di debito da ristrutturare, l’ultima controproposta rilancia a 56,6. Troppi, secondo Buenos Aires alle prese con una recessione che preme da metà 2018 e le conseguenze delle misure di contenimento della pandemia di Covid-19 che, peraltro, non accenna a sgombrare il campo.

Il comunicato dei fondi creditori suona come ultimatum all’attuale guida dell’Argentina a concedere ciò che chiedono. È, almeno, una dimostrazione di forza che condiziona i prossimi giorni di trattative, probabilmente i definitivi. Durante i quali il governo di Alberto Fernández deciderà se rilanciare con modifiche sugli aspetti legali, accettare i 56,6 dollari o resistere ancora e procedere alla ‘conta’ dei favorevoli alla sua proposta. Soluzione piena di incognite che potrebbe portare a un nulla di fatto, con tutte le conseguenze economiche, finanziarie e legali.

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