‘Deuda’ suona più dolce di debito, ma quando si associa all’Argentina viene meno ogni sollievo fonetico. Il bilancio tracciato dall’uscente ministro delle Finanze, Hernán Lacunza, sembra basarsi proprio su questa premessa, nonostante le rassicurazioni sulle “basi solide” dei conti dello Stato che l’esecutivo Macri dichiara di lasciare all’entrante guidato da Alberto Fernández.

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Tra i dati più significativi l’aumento del debito pubblico, salito di 74 miliardi di dollari dal 2015 al 2019. Durante la gestione Macri, il debito pubblico è cresciuto del 31 per cento, in misura maggiore dell’incremento del 21 per cento del periodo 2011/2015. È così passato da 240 a 314 miliardi di dollari.

Nell’analisi ufficiale, tuttavia, l’attuale livello del debito pubblico è “il risultato della precedente inerzia sul deficit. Si tratta, aggiungono dall’esecutivo, di “un problema di liquidità più che di presunta insolvenza”.


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L’altro punto rilevante è relativo al maxi prestito ottenuto dal Fondo monetario internazionale. Il ministro Lacunza ammette che l’83 per cento dei fondi arrivati da Washington è stato utilizzato per cancellare debito in valuta straniera.

Come ormai noto, il credito da 56,3 miliardi di dollari concesso dal Fmi a Buenos Aires è il più consistente della storia dell’organismo. Della cifra pattuita, però, all’Argentina sono arrivati solo 44,382 miliardi, avendo il Fondo sospeso la linea di credito dopo lo scossone finanziario seguito alle elezioni primarie di agosto, con i mercati a penalizzare i risultati elettorali e le possibili conseguenze, ad avviso degli investitori, sul piano delle politiche pubbliche.

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Ora il governo ha informato che di quel denaro iò che residua ammonta alla cifra di 1,9 miliardi. Il resto? 35,344 miliardi di dollari sono stati impiegati dal governo per coprire debito estero. Altri 6,072 miliardi (il 14 per cento del credito Fmi) sono andati a copertura di debito emesso in moneta nazionale. Poi, 774 milioni per spese in moneta straniera soprattutto per l’importazione di combustibili. Solo il 4 per cento, dunque, residua nelle riserve della Banca centrale argentina.

Una situazione, fanno capire dall’esecutivo uscente, non programmata ma conseguenza di una attività economica inferiore alle stime precedenti, con consistente contrazione in tre dei quattro anni di mandato del governo Macri.

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Ed è questo il punto di partenza dell’amministrazione Fernández, con la gestione del debito come tema di primissimo piano nella sua agenda. Economica, ma anche politica e sociale, avendo il leader peronista già avvertito che non procederà a ulteriore riduzione della spesa, soprattutto sociale, in una fase di estrema vulnerabilità che interessa un terzo della popolazione.

Dal Fmi, invece, per bocca della stessa Kristalina Georgieva, insistono: il programma economico del governo dovrà dimostrare sostenibilità affinché possa accedere a ‘ulteriori consigli’ dell’istituto di Washington.

Continua la fuga di capitali dall’Argentina. Via 84 mld di dollari in 46 mesi

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