Altra giornata nera per l’economia argentina. I mercati continuano a scuotere il paese non fidandosi del quadro politico che si va definendo dopo il voto delle primarie per la presidenza. La sfiducia è più che evidente dall’aumento del rischio paese, che oggi ha toccato livelli record.

Il differenziale misurato da Jp Morgan tra i titoli decennali argentini e i corrispondenti statunitensi nella giornata finanziaria di martedì 13 agosto è arrivato a 1.759 punti base. C’era stata una calma apparente verso la fine delle operazioni del giorno precedente mantenendosi stabile, ma ugualmente alto, attorno ai 900 punti.

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Per trovare uno spread così alto bisogna tornare ai primi di maggio del 2009, quando si attestava a 1.764 punti. Nulla rispetto ai 7.222 dell’agosto 2002 durante la breve presidenza Adolfo Rodríguez Saá, ma quelli erano i tempi del default, di un paese completamente azzerato.


Negli ultimi quindici anni, il livello più basso è stato di 184 punti base (gennaio 2007), ma è unanimamente accettato che sopra i 500 punti è già allarme.

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Giornata tesa anche per la moneta nazionale, già alle prese con una pesante svalutazione. Il dollaro è stato protagonista di un’altra impennata, arrivando a valere 61 pesos all’inizio delle operazione, per poi stabilizzarsi a 58 pesos anche per effetto dell’intervento della Banca centrale argentina che ha immesso sul mercato 150 milioni di dollari.

Intanto, dalla Casa Rosada fanno sapere che il governo guidato da Mauricio Macri ha in agenda misure per far fronte alle principali emergenze economiche: svalutazione, inflazione, aumento del salario minimo e sostegno alle piccole e medie imprese, le principali vittime della nuova recessione.

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