Come previsto, le presidenziali in Argentina hanno visto il trionfo del peronista Alberto Fernández e della sua vice, l’ex presidente Kirchner, al primo turno, e quindi con più del 45 per cento dei voti. Un esito previsto, per alcuni scontato, ma pur sempre netto, che ha scosso i mercati fin dall’immediato lunedì mattina successivo, fra la preoccupazione di analisti e avversari, e i festeggiamenti dei sostenitori del neopresidente.

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Repentina, e molto significativa, la prima mossa attuata dalla Banca centrale di Buenos Aires, che ha subito tagliato il limite mensile di acquisto di dollari dal precedente 10mila, a soli 200, per i conti bancari. Mentre per gli acquisti fatti in contanti, la cifra scende a 100 dollari: e si tratta, inoltre, di limiti non cumulabili, anche se temporanei. Si pensi, infatti, che il tetto precedente risaliva a poco più di due mesi fa.

La misura, la cui tempistica dà molto da pensare, è comunque ineccepibile dal punto di vista macroeconomico, se si pensa che le riserve in valuta estera dell’Argentina ammontano a 43,5 miliardi di dollari, 23 dei quali sono stati, o andranno, perduti.


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L’obiettivo, evidente ed immediato, è quello di impedire un ulteriore, sanguinoso, deflusso dal Paese di capitali in valuta forte, se si pensa che dall’inizio del millennio il peso ha perso praticamente il 100 per cento del valore, rispetto al biglietto verde.

Ed è difficile immaginare una svolta importante nel breve termine, se si pensa alla preoccupazione che aleggia sui mercati, e alle prospettive di politica economica del nuovo governo, orientate a un approccio espansivo di centrosinistra molto meno “attento” finanziariamente di quello, pur fallimentare, di Macri.

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Guido Sandleris, presidente della Banca centrale


Va però sottolineato come nei primi discorsi Fernández abbia propeso per un approccio morbido, affermando che l’unica cosa che conta è “far cessare le sofferenze degli argentini”.

Ha aperto perfino a un minimo di continuità, sottolineando che avrà bisogno del supporto delle amministrazioni vicine al presidente uscente per ricostruire il paese “dalle proprie ceneri”, e chiudendo con un trionfale e speranzoso “siamo tornati, e saremo migliori”.

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