È la domanda che incombe sui mercati finanziari da settimane, ormai. Cosa faranno Alberto Fernández e Cristina Kirchner se, come appare a oggi verosimile, dovessero vincere le elezioni del 27 ottobre. Kenneth Rapoza, in un’analisi su Forbes, vede un’impronta market-friendly per (l’eventuale) nuovo governo argentino, che avrebbe ogni interesse a evitare qualsiasi tipo di default. Soprattutto considerando che l’Argentina, alle prese con l’ennesima crisi di liquidità delle ultime settimane, avrà estremo bisogno dell’afflusso di capitali dall’estero.

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Sarà, con ogni probabilità, una corsa contro il tempo, per evitare un hard default sul debito estero dalle conseguenze difficilmente immaginabili per l’Argentina. Al 23 settembre, l’Argentina aveva una riserva netta in valuta estera di 8,9 miliardi di dollari, con la quale deve fronteggiare però diverse uscite.

Vari pagamenti, per un ammontare di 7,2 miliardi, scadranno proprio nel 2020, a cui vanno aggiunti 4 miliardi di interessi ai detentori di bond sovrani, 2,3 miliardi di debiti provinciali e altri 500 milioni di dollari di interessi ai detentori di bond della compagnia petrolifera statale Ypf.


Da qualche parte, queste risorse dovranno uscire, ma l’unica strada che sembra tranquillizzare i mercati è quella della dilazione, mentre la riduzione unilaterale del valore dei titoli, che ovviamente danneggerebbe gli investitori, genererebbe ben altre reazioni.

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In un simile scenario, un nuovo governo Fernández, da più parti reputato “ad alto tasso di kirchnerismo”, con politiche di stampo keynesiano e forte controllo sull’economia, non è certamente una svolta ad “effetto calmiere”. Servirebbe un cambio rispetto al passato, ma sembra difficile crederci se perfino Mauricio Macri quest’anno ha fissato controlli sui prezzi, nel disperato tentativo di accaparrarsi i voti delle classi operaie.

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D’altro canto, come noto, nemmeno le politiche liberiste e pro-dollaro del presidente uscente hanno avuto tutto questo gran successo. Vero è che le classi agiate e buona parte della middle class hanno potuto fronteggiare la crisi grazie ai risparmi in dollari. I meno agiati però, più legati al peso, hanno visto il valore di quest’ultimo crollare, in una dinamica inflattiva che non si vedeva da decenni.

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