Si accentua una delle caratteristiche negative dello scenario economico argentino: la fuga di capitali. Nei primi sette mesi dell’anno ha difatti superato i 20 miliardi di dollari, duplicando il registro ottenuto nello stesso periodo del 2017. Lo riferisce la Banca centrale argentina nel documento ufficiale sul Bilancio cambiario relativo al mese di luglio, nel quale la voce che tecnicamente viene definita come “Formazione di attivi esterni di residenti” segnala per il solo settimo mese dell’anno un ammontare di 3,351 miliardi di dollari. Se a questo dato si aggiungono anche il rimpatrio degli investimenti dei non residenti per 915 milioni di dollari e l’uscita di capitali per “investimenti su titoli del mercato secondario” per 165 milioni di dollari, il deficit del mese di luglio sale a 4,415 miliardi di dollari.

Nel dettaglio, la fuga di capitali è stata dovuta principalmente all’acquisto di valuta per un equivalente di 2,386 milioni di dollari, e per trasferimenti all’estero equivalenti a 965 miliardi di dollari. In questo senso il documento della Banca centrale sottolinea un aspetto nuovo, e cioè che il 47 per cento degli acquisti di valuta americana sono stati operati per somme fino a dieci mila dollari. Il dato spiega che il contesto attuale di volatilità cambiaria e di elevata inflazione sta portando la classe media a cercare rifugio nel dollaro. Una tendenza che rompe con il passato, anche recente, quando l’acquisto di valuta forte a danni della moneta nazionale era una costante dei grandi attori della finanza, speculatori compresi. Segnale, dunque, che la classe media ha poca fiducia nelle decisioni, anche urgenti, tentate dal governo di Mauricio Macri, peraltro ‘compresso’ dai rigidi paletti imposti dal Fondo monetario internazionale all’atto della recente concessione del mega prestito da 50 miliardi di dollari.

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