Nonostante la complessa situazione economico-finanziaria, e uno scenario politico tutt’altro che idoneo ad attrarre investimenti esteri, l’Argentina si appresta a entrare nel ristretto club dei paesi americani esportatori di gas naturale liquefatto (Gnl). Lo strepitoso potenziale dell’enorme giacimento di Vaca Muerta, infatti, sembra essere più forte sia dei limiti infrastrutturali, che delle remore (spesso legittime) degli investitori circa la volatilità dell’economia, e la stessa storia politica di Buenos Aires.

Nonostante l’assenza di condutture adeguate, la produzione di gas ha visto nel 2018 una crescita del 193 per cento, e quella di petrolio un più 52 per cento, grazie soprattutto all’afflusso di investimenti da parte di giganti esteri come Shell, Chevron ed ExxonMobil. Una crescita che viene parzialmente bilanciata, in negativo, dal calo (nell’ordine del 19 per cento) nella produzione di gas e petrolio convenzionali.

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La strada, però, sembra tracciata, se si pensa che Vaca Muerta ha una stima di 9,3 milioni di metri cubi di gas scisto, su un totale nazionale di 24,3. Allo stesso modo, sembra sempre più evidente il peso preponderante che le major straniere vanno acquisendo nella gestione dell’industria argentina di gas e petrolio shale.


Basti pensare all’accordo, risalente allo scorso novembre, fra la belga Exmar e la Ypf con cui l’azienda europea si è impegnata a liquefare gas a Vaca Muerta per i prossimi dieci anni attraverso la nave Tango, uno dei pochi Flng (battelli che adoperano tecnologie di liquefazione in mare) esistenti al mondo, e il primo in America. Tango è arrivata in Argentina lo scorso febbraio, e inizierà le operazioni nelle prossime settimane.

Al di là delle limitate capacità di stoccaggio, poco più di 16mila metri cubi, e di una produzione che non supera le 500mila tonnellate all’anno, essa rappresenta l’ingresso di Buenos Aires in una ristretta cerchia di paesi produttori, e esportatori, di gas naturale liquefatto.

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