L’Argentina è di nuovo un paese a rischio finanziario. E stavolta l’allarme giunge dal mercato dei credit default swap, le assicurazioni contro il rischio di fallimento, che inducono gli esperti a valutare il rischio di un nuovo default di Buenos Aires al di sopra del 60 per cento, entro il prossimo lustro. Una probabilità più che triplicata, rispetto a solo un anno fa.

Le riforme liberiste di Mauricio Macri, in parte concertate col Fondo monetario internazionale, si sono rivelate largamente inefficaci. L’inflazione è al 55 per cento, il tasso di povertà è salito in un anno dal 25 al 32 per cento, quello di disoccupazione sfiora il 10, mentre il Pil è in recessione di oltre il 6 per cento. Ma è soprattutto il peso a soffrire, e preoccupare di più. Il dollaro è ormai considerato l’unico rifugio sicuro dai risparmiatori argentini, e lo spread con i titoli Usa oscilla ultimamente tra i 900 e i 1.000 punti base, ormai ai massimi del 2014.

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Di qui, la necessità impellente di un vigoroso cambio di rotta, soprattutto nella politica monetaria, concretizzatosi in due direzioni principali. Da una parte, il governo ha autorizzato la Banca centrale ad effettuare vendite in dollari, anche col cambio al di sotto dei 51,4 pesos per dollaro. Un tentativo di frenare l’apprezzamento della valuta Usa che ha sortito qualche effetto, dato che il tasso di cambio è effettivamente sceso del 2,3 per cento, a 45,8 pesos per dollaro. Che è comunque il triplo del livello dei tempi degli esordi di Macri.


Con l’altra mossa, la Banca di Buenos Aires ha ulteriormente innalzato il tasso ufficiale di sconto, portandolo a oltre 73 punti percentuali, puntando così a immettere nuovi dollari delle riserve sul mercato. Una vera e propria cura da cavallo, che però verosimilmente avrà solo effetti estemporanei.

Il punto è, come ben spiegato dall’analista finanziario Alessandro Guerani ripreso da Forbes Italia, che “l’Argentina importa beni essenziali pagandoli in dollari” e quindi, o esporta abbastanza per avere quei dollari, o deve prenderli a prestito; e in questo caso, “debito pubblico o moneta sovrana servono a poco”. Certo, la stabilità finanziaria servirebbe come il pane, ma la ‘Macrisis’ finora è stata, purtroppo, sinonimo soprattutto di volatilità.

Financial Times: “Argentina al limite, cresce la paura di un nuovo default”

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