La decisione di Morgan Stanley Capital International (Msci) sulla classificazione dell’Argentina era stata annunciata, ma ha assunto caratteri di maggiore gravità. Precedentemente in ‘mercato emergente’, l’agenzia di rating ha declassato il paese a ‘mercato indipendente’, quindi due gradi più in basso, saltando quello di ‘mercato di frontiera’ che governo e analisti si aspettavano.

Msci: l’Argentina declassata a mercato indipendente

Lo scorso giugno, peraltro, l’agenzia nordamericana aveva confermato il paese sudamericano tra i mercati emergenti nonostante le forti restrizioni normative all’accesso al mercato dei capitali in vigore e il rischio di default conneso ai negoziati sulla ristrutturazione del debito estero.

Dopo la scelta di Msci, spiegata nel rapporto Rapporto sulla revisione della classificazione dei mercati 2021, l’Argentina si ritrova nella stessa categoria di Giamaica, Trinidad e Tobago, Zimbabwe, Panama, Libano, Palestina, ma anche di Malta, Islanda, Herzegovina, Bulgaria e Ucraina.


Per l’Argentina le conseguenze del downgrade rischiano di essere pesanti, innescando maggiore isolamento del paese nei mercati finanziari internazionali. Secondo gli esperti, difatti, solo nuovi decisi interventi su investimenti e capitale privato, oltre a riforme strutturali chieste da più parti, potrebbero portare a un cambio di tendenza, a un diverso atteggiamento meno ostile di investitori e agenzie di rating.

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Gli addetti ai lavori, nelle ore successive alla decisione di Msci, sono concordi nel sottolineare il rischio di deterioramento degli asset albicelesti sui mercati, comprendendo l’impatto negativo sui titoli delle società quotate che, inoltre, avranno maggiori difficoltà di accesso al credito.

Morgan Stanley Capital International, però, motiva la sua scelta argomentando sul protrarsi dei rigidi controlli dei capitali definendoli, dal suo punto di vista, non compatibili ai criteri di accesso ai mercati. Il riferimento è al cosiddetto ‘cepo cambiario’, limite allo scambio di moneta introdotto dal governo di Mauricio Macri nel 2019 per frenare la svalutazione. Ma anche ai limiti di uscita dal paese degli utili delle società straniere operanti in Argentina, considerato un ostacolo anche a investimenti privati.

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