Nel giorno del debutto della nuova strategia di intervento diretto sul mercato dei cambi da parte della Banca centrale argentina, il peso si è rivalutato del 2,6 per cento rispetto al dollaro. Lunedì 29 aprile, la moneta locale ha chiuso a 45,60 pesos per dollaro partendo da un valore di apertura di 47 pesos. Parallelamente alla nuova disposizione che permette di immettere i dollari delle riserve sul mercato dei cambi, l’istituto centrale ha disposto anche un ulteriore aumento del tasso ufficiale di sconto a 73,19 punti percentuali dai 71,86 di inizio giornata.

Un modus operandi avallato dal Fondo monetario internazionale, che ha autorizzato la Banca centrale a operare sul mercato dei cambi anche attraverso l’uso delle riserve con l’obiettivo di evitare una eccessiva svalutazione del peso rispetto al dollaro e frenare il suo impatto sull’inflazione.

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“La Banca centrale argentina ha introdotto importanti modifiche per affrontare la volatilità del mercato finanziario e del tipo di cambio. Sosteniamo questa decisione che riteniamo adeguatamente calibrata alle sfide che affronta l’Argentina”, ha dichiarato il portavoce del Fmi, Gerry Rice.


L’orgnismo di Washington ha così dato il suo consenso alle decisioni del comitato di politica monetaria della Banca centrale, decisioni che vanno a modificare un aspetto fino a oggi espressamente bandito dall’accordo tra esecutivo e Fondo sul programma di assistenza finanziaria da 57,1 miliardi di dollari.

La mossa di Buenos Aires, però, non convince tutti. La maggior parte degli analisti considera positiva la decisione della Banca centrale in relazione all’obiettivo circoscritto di contenere l’apprezzamento del dollaro. Altri, al contrario, segnalano i rischi che questa politica potrebbe implicare in termini di impoverimento delle riserve a fronte di un contesto avverso.

Recentemente, difatti, questo tipo di politica monetaria è già stato adottato dall’ex presidente dell’istituto centrale, Luis Caputo, che, nel tentativo di frenare la fuga del mercato verso il dollaro, aveva provocato la perdita, in poche settimana, di circa 20 miliardi di dollari delle riserve. Decisione alla quale sono seguite polemiche e la rinuncia dall’incarico.

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