Ogni summit del G20 fa registrare vincitori e vinti negli scontri geopolitici che la diplomazia nasconde e tenta di risolvere pacificamente. Tra questi ultimi, lo sconfitto del vertice di Buenos Aires appare essere l’erede al trono saudita, il principe Moḥammad Bin Salman, approdato in Argentina nel corso di un giro internazionale che ne dovrebbe rilanciare l’immagine in patria e all’estero dopo le ultime rivelazioni sull’omicidio di Jamal Kashoggi, il giornalista dissidente saudita assassinato nel consolato del Regno a Istanbul, dove era stato attirato in un tranello con il pretesto della consegna dei documenti ufficiali del suo divorzio.

Successivamente, sia il presidente turco Erdogan sia la Cia lo avevano indicato come possibile mandante dell’eliminazione del dissidente, che dalle colonne del Wall Street Journal aveva criticato il “nuovo corso” instauratosi a Riad proprio con la designazione di Bin Salman a principe della Corona, superando molti altri ben più accreditati in forza del suo rapporto filiale con il re. Non era mai accaduto in tempi recenti in Arabia Saudita che il sovrano regnante designasse il proprio figlio, peraltro poco più che trentenne, estromettendo fratelli e nipoti certamente più equilibrati ed esperti negli affari di Stato.


La decisione aveva dato vita ad una fronda nella famiglia reale, subito stroncata da Bin Salman attraverso una “inchiesta giudiziaria” pilotata che aveva portato alla detenzione di numerosi membri influenti della famiglia reale. A ciò è seguito lo scandalo globale dell’omicidio Kashoggi, che oltre a isolare la monarchia a livello internazionale in mancanza di una inchiesta indipendente, ha messo in difficoltà anche il migliore alleato, Donald Trump, alle prese con il procuratore Mueller e gli imbarazzi politici dei casi Coehn e Manafort.


I consiglieri del giovane principe, per rilanciarne l’immagine, hanno perciò elaborato un programma serrato di visite internazionali per dimostrare agli occidentali e agli stessi sauditi che Bin Salman è ancora saldamente al comando.

Il tour tuttavia, partito da Abu Dhabi, si è rivelato un autentico disastro. Assistendo al Gran Premio degli Emirati, l’erede al trono si è fatto fotografare in atteggiamenti assai amichevoli tra gli altri con il presidente ceceno Kadyrov, le cui credenziali democratiche sono piuttosto contestate, e con il re emerito di Spagna, Juan Carlos, piuttosto discusso in patria per i suoi rapporti disinvolti con le monarchie del Golfo. Il tweet del cordiale incontro con il monarca emerito, infatti, per di più postato su twitter dal servizio stampa del ministero degli Esteri saudita, ha innescato una violenta polemica politica in Spagna, che ha fatto registrare anche iniziative parlamentari che hanno coinvolto il governo di Pedro Sánchez.

La successiva tappa a Tunisi, martedì scorso, si è rivelata ancor più catastrofica sul piano dell’immagine. Il principe è stato accolto nella capitale nordafricana da una grande manifestazione di protesta, andata ben oltre le aspettative degli organizzatori (i Fratelli Musulmani, noti oppositori di Riad) quando si è saputo che Bin Salman avrebbe anche ricevuto una onorificenza da parte del capo dello Stato, Caid Essebsi, che lo ha ricevuto con tutti gli onori.

A Buenos Aires l’erede della più grande monarchia del petrolio ha trovato la cortese ma fredda accoglienza del presidente Mauricio Macri, notoriamente schierato con il fronte avverso a Riad, cioè con il Qatar, tanto che l’emiro Tamim Al Thani ha varato un robusto piano di cooperazione economica bilaterale.

Donald Trump, alle prese con le rivelazioni del suo avvocato Michael Cohen sul Russiagate e impegnato in un difficile negoziato commerciale con la Cina, non ha voluto offrirgli alcuna sponda. Il suo staff ha motivato il fatto con la impossibilità di inserirlo in agenda, che già vedeva inseriti Xi Jinping, Merkel e i leader di Messico e Canada.

Così Bin Salman si è dovuto accontentare di “battere il cinque” con Vladimir Putin di fronte ai giornalisti convenuti nel salone del vertice per le riprese di rito.

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