La nomina del pasdaran Ahmad Vahidi a ministro dell’Interno in Iran solleva polemiche e reazioni anche in Argentina. C’è la “energica condanna” del governo di Alberto Fernández che, peraltro, incrocia quella di Israele, il sui ministero degli Esteri parla espressamente di “criminale nelle liste dell’Interpol”. Alla base della contrarietà di entrambi i paesi ci sono i tragici fatti del 18 giugno del 1994: l’attentato all’Amia, ente che riunisce le associazioni israelite in Argentina. Quel giorno a Buenos Aires morirono 85 persone, con 300 feriti.

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L’Argentina non è mai arrivata a una verità giudiziaria sull’attentato all’Amia, ma la giustizia del paese sudamericano ritiene che Ahmad Vahidi uno dei responsabili. È per questo che la nota del ministero degli Esteri argentino considera la sua nomina a titolare dell’Interno “un affronto alla giustizia argentina e alle vittime del brutale attentato terrorista”.

Inoltre, sottolinea la nota, “l’attuale decisione è ricevuta con grave preoccupazione e merita la più energica condanna del nostro paese”. La nota ricorda che la stessa contrarietà fu manifestata dall’Argentina nel 2009, quando Vahidi fu scelto come ministro della Difesa da Mahmud Ahmadinejad. Ahmad Vahidi, 63 anni, è stato anche comandante delle Forze Al Quds, l’unità per la politica estera dei Guardiani della rivoluzione.


La posizione ufficiale del governo Fernández è chiara, ricordando che Ahmad Vahidi è ricercato dalla giustizia argentina, con un ordine di cattura internazionale dell’Interpol, “per aver tenuto un ruolo chiave nella decisione e nella pianificazione dell’attentato del 1994 contro la sede dell’Amia”. Di qui il rinnovato invito di Buenos Aires a Teheran “di cooperare in modo pieno con la giustizia argentina” facendo sì che gli accusati siano giudicati dai tribunali competenti”.

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Il ministro degli Esteri argentino, Felipe Solá

Negli ultimi anni, il caso Amia ha scosso non poco la politica argentina. Nell’attuale processo sul ‘Memorandum’ sottoscritto nel 2013 da Argentina e Iran è imputata anche l’ex presidente e oggi vicepresidente Cristina Fernández. Secondo l’accusa, da capo dello Stato avrebbe cercato di “indebolire” l’inchiesta sull’attentato attraverso un patto con il governo iraniano.

Cristina Fernández ha sempre definito “politiche” le accuse su fatti dai quali si definisce totalmente estranea. L’inchiesta su quei fatti del 1994 si è complicata ulteriormente con la morte, nel gennaio del 2015 in circostanze non ancora chiarite, del magistrato Alberto Nisman dal quale era partita l’accusa contro la ‘presidenta’.

Lo stesso Nisman, nei suoi atti di inchiesta, ha ritenuto che Vahidi non si sia limitato a partecipare passivamente a una presunta riunione del 1993, nella città iraniana di Mahshad, in cui sarebbe stato deciso l’attacco all’Amia. Avrebbe, ha spiegato il magistrato, avuto un ruolo di primo piano nel proporre l’obiettivo dell’attentato. Pochi mesi dopo, il giudice federale argentino Rodolfo Canicoba Corral spiccò un mandato di cattura internazionale a carico di alcui esponenti dell’establishment di Teheran, tra cui due diplomatici iraniani in servizio in Argentina e lo stesso Ahmad Vahidi.

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