Non è rottura, ma di sicuro è un ulteriore segnale delle attuali difficoltà nei rapporti tra la Chiesa e lo Stato argentino. O meglio, con l’attuale governo. È di appena due settimane fa la polemica sulla manifestazione delle opposizioni davanti alla basilica di Luján con relative accuse all’arcivescovo Radrizzani. Ora un nuovo caso che era però già nelle agende di entrambe le parti coinvolte: il contributo economico dello Stato alla chiesa cattolica argentina.

Secondo quanto anticipato dal quotidiano Clarín, le gerarchie ecclesiastiche argentine sarebbero pronte ad annunciare l’intenzione di rinunciare gradualmente ai finanziamenti dello Stato. Una premessa è tuttavia necessaria.


Il contributo statale ammonta a 140 milioni di pesos, cifra che rappresenta appena il 7 per cento del bilancio della chiesa. Numeri a parte, è certo che si tratta di una questione delicata nei rapporti tra governo di Buenos Aires e Santa Sede.

Quello in discorso è un passo successivo. Già nell’agosto scorso, difatti, la Conferenza episcopale argentina aveva avviato una serie di consultazioni con l’esecutivo governo alla ricerca di opportunità alternative al finanziamento da parte dello Stato. Ora, secondo l’indiscrezione del quotidiano, ci sarebbe una intesa generale di tutti i vescovi e i dettagli della decisione potrebbero emergere nei prossimi giorni nei quali la Conferenza episcopale celebra l’ultima plenaria del 2018.


Quello di superare i ‘rapporti finanziari’ con lo Stato è un tema che la chiesa argentina ha cominciato a studiare un paio di decenni fa. La ‘fretta’ attuale dipenderebbe dal recente dibattito sulla legalizzazione dell’aborto, progetto di legge che non ha ottenuto il via libera definitivo dalle camere, ma che ha visto il governo Macri in posizione più o meno neutrale e per questo criticata dalle gerarchie ecclesiatiche albicelesti.

In linea di principio, la separazione tra Stato e chiesa ha fondamento giuridico nell’accordo bilaterale del 1966, che però ratificava alcune esclusioni di ingerenza già vigenti. Nel 1994, la riforma costituzionale escluse il vincolo dell’essere cattolico per aspirare alla presidenza, ma conservato la dizione che attribuisce al governo l’onere di “sostenere il culto cattolico”. Se la chiesa dovesse confermare le sue intenzioni, verrebbero meno i sussidi a vescovi, sacerdoti e seminaristi. Resterebbero vigenti i fondi destinati alle scuole cattoliche perché garantiti a tutte le confessioni in ossequio al principio di libertà dell’insegnamento.

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