Mancano pochi mesi alle elezioni politiche parziali in Argentina – si vota il 14 novembre per rinnovsare metà della camera dei deputati e un terzo del senato – e poco più di due anni alle presidenziali del 2023. Le candidature di maggioranza e opposizione non sono definite, si attendono le primarie obbligatorie del 12 settembre alle quali entrambi gli schieramenti cercheranno di piazzare i migliori nomi. Soprattutto sul fronte del governo di Alberto Fernández.

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Il ministro degli Esteri, Felipe Solá

Obiettivo dell’attuale esecutivo è evitare il più possibile che il calo di popolarità effetto della combinazione tra pandemia, restrizioni ed economia si trasformi in un calo di consensi alle urne. Il presidente Alberto Fernández contestualmente cerca di tracciare il più possibile a suo vantaggio le differenze, note e naturali, tra la sua linea e quella più intransigente che fa capo alla vicepresidente Cristina Fernández. Anche perché non esclude di ripresentarsi nel 2023, mentre altri (più vicini a Cristina) già fanno capire di essere tentati.

Un caso su tutti le diverse posizioni nella gestione dei negoziati con il Fondo monetario internazionale per la ristrutturazione del debito di oltre 45 miliardi di dollari ereditato dal governo di Mauricio Macri. E poi c’è la politica estera: più conciliante quella del presidente, più radicale quella del kirchnerismo, soprattutto riguardo i governi della regione latinoamericana al centro di accuse relative alla non brillante posizione sui diritti umani. Vale a dire Venezuela, Nicaragua, Cuba.


È per questo che, secondo retroscena che si fanno notare nelle analisi sulla politica argentina, Alberto Fernández non esclude un rimpasto nel suo gabinetto. A farne le spese potrebbe essere il minsitro degli Esteri, Felipe Solá, che potrebbe lasciare il comando della diplomazia albiceleste all’attuale ambasciatore argentino a Washington, Jorge Argüello, che ha guadagnato punti col suo ruolo negli Stati Uniti e con i suoi contatti internazionali.

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Martín Guzmán e Daniele Franco al G20 dell’Economia di Venezia

Peraltro, Arguello è descritto come ottimo amico personale del presidente e da quest’ultimo avrebbe ricevuto l’incarico di spiegare a Israele che Buenos Aires è dalla parte di Tel Aviv nella delicata crisi con Hamas. C’è il suo lavoro, inoltre, dietro la donazione del governo Biden di 3,5 milioni di dosi del vaccino Moderna all’Argentina. Altri guardano a Daniel Scioli, ex vicepresidente ed ex candidato alla Casa Rosada sconfitto da Macri nel 2015 e attualmente ambasciatore a Brasilia. Incarico delicato e di massima importanza considerando la distanza tra Bolsonaro e Fernández e i rapporti commerciali tra i due paesi.

I cambi nel governo toccherebbero anche l’altro ministero chiave del team di Fernández, quello dell’Economia guidato da Martín Guzmán, dal principio uomo di riferimento del presidente nella gestione del debito e ormai solido nei rapporti con gli omologhi dei paesi partner e i rappresentanti dei grandi organismi finanziari multilaterali, a cominciare dal Fmi.

L’idea sarebbe quella di coordinare il lavoro dei dicasteri dell’Economia, Attività produttive, Opere pubbliche e Trasporti. Non una fusione in un unico grande ministero, ma maggiore peso nelle decisioni da riconoscere a Guzmán e al collega delle Opere pubbliche, Gabriel Katopodis. Si tratta di due ministri leali al presidente e l’operazione permetterebbe una gestione più snella dei principali fascicoli con vista a investimenti e crescita economica.

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