Un mistero nella Patagonia argentina, una sorta di spy story in chiave moderna che riapre dubbi. Perché non è la prima volta che stampa e politica si occupano della base cinese installata nella provincia di Neuquén. Nel parlamento nazionale se ne discute da ormai quattro anni, ma i punti oscuri della vicenda sembrano restare tali. Che implicano soprattutto la difesa del paese, oltre che costituire un evidente discorso di sovranità. E, sul piano politico, si riflette sugli accordi tra l’allora governo di Cristina Fernández e la Cina.

L’obiettivo dichiarato di questo gigante installato nel ‘nulla’ patagonico è lo studio, osservazione, esplorazione spaziale a fini pacifici. Ultimamente, è stato lo stesso esecutivo di Pechino a informare che la struttura dotata di mega antenna ha avuto anche un ruolo nell’operazione sbarco sul lato nascosto della luna.

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Tutto, insomma, appare una narrazione da film. Eppure una cosa è certa e non negata da nessun vertice dell’amministrazione argentina: lo Stato non ha il minimo controllo della struttura e delle sue attività.


A ricostruire la vicenda è una inchiesta della Reuters che non ha difficoltà a definire la base come una sorta di buco nero, di luogo inaccessibile, fuori dal controllo del governo argentino. Come tutti i casi come questo, i dubbi alimentano ogni possibile interpretazione, anche nella chiave più complottistica possibile. I primi sono quelli dei residenti nelle vicinanze. L’insediamento abitato più prossimo è Las Lajas, un paese di settemila abitanti che non nascondono una certa inquietudine. Molto più lontano, a Washington, si fanno le stesse domande.

Ad ammettere che la situazione sia fuori controllo è stata anche l’ex ministro degli Esteri del governo Macri, Susana Malcorra. Fu lei a chiedere e ottenere la modifica dell’accordo con la Cina, con l’inserimento di una clausola che limita solo agli usi civili. Inoltre, il governo cinese ha l’obbligo di informare il paese ospitante circa le attività realizzate nella stazione. Ciò che manca, però, è uno strumento di verifica, di garanzia che le cose stiano davvero in questi termini. Cioè nessuno, in Argentina, ha il potere di pretendere, ispezionare, obbligare.

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Pechino, dal canto suo, continua a dichiarare che il programma spaziale gestito in quella base è unicamente a fini civili. Aggiungendo che è aperta al pubblico e ai media. Ma gli abitanti dicono che non è così e anche i giornalisti hanno avuto accesso ai luoghi solo prima dell’inizio delle attività. Entrata in funzione ad aprile del 2018, non impiega personale locale, ma ci lavorano una trentina di addetti cinesi e per loro quello è anche il luogo di residenza.

Raramente li si vede a Las Lajas, salvo quei casi in cui alcuni membri della base vanno a fare ‘spesa grossa’ in un supermercato cinese del paesino. Ed è anche per questo che laggiù si alimentano le teorie che vanno dalla presunta base militare a luogo di fabbricazioni di bombe atomiche.


Non la pensano così negli Stati Uniti dove hanno preoccupazioni diverse più nell’ottica delle ambizioni cinesi di militarizzare lo spazio. Negli States non credono che le attività della base siano solo a fini civili. E rincarano la dose anche politicamente, come Garrett Marquis, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, sentito dagli autori dell’inchiesta: la stazione in Patagonia, permessa una decina d’anni fa da un governo corrotto e finanziariamente vulnerabile è un altro esempio degli accordi cinesi opachi e predatori che annullano la sovranità dei paesi che lo permettono”.

Le audizioni di Susana Malcorra confermano le difficoltà del governo Macri di modificare ulteriormente l’accordo bilaterale di base che non prevede la possibilità di modifiche sugli stumenti di supervisione. Quanto, poi, sia possibile sul piano politico è tutt’altra faccenda. Tra economia reale e finanza pubblica, l’impegno cinese in Argentina è vitale e anche in occasione dell’ultimo G20 Buenos Aires ha ricevuto firme e promesse di ulteriori aiuti.

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