Due obiettivi a breve termine nella complicata agenda politica di Maurizio Macri: dimostrarsi affidabile agli occhi del Fondo monetario internazionale e cercare di isolare politicamente Cristina Fernández e il gruppo politico di riferimento. All’interno del governo hanno smesso di chiedersi se la crisi finanziaria che ha di nuovo interessato l’Argentina (con il dollaro che non molla la presa sul peso) abbia radici economiche o politiche. Entrambi i fattori concorrono all’instabilità, che va smantellata considerando che i mercati hanno un po’ meno diffidenza verso Buenos Aires. Come? Sul piano politico l’idea c’è e ha ottenuto il via libera del presidente: dialogare con il peronismo. Il fine è quello di trovare un’intesa sulla prossima legge di bilancio che contenga misure in linea con l’accordo chiuso con il Fmi. La parte operativa è affidata a due figure politiche di spicco (‘governano’ il 50 per cento degli argentini) e di certissima lealtà a Macri: la presidente della provincia bonaerense, María Eugenia Vidal, e il sindaco della Città autonoma di Buenos Aires, Horacio Rodríguez Larreta. Tocca a loro ‘avvicinare’ i governatori peronisti delle province su accordi politici che permettano di licenziare leggi che all’esecutivo nazionale servono per adempiere gli impegni con l’istituto di Washington. I presidenti delle province argentine hanno il loro peso, paragonabile ai governatori delle regioni italiane, e molti sono espressione dell’immortale movimento politico eredità del General. Ma c’è un fine politico: convincere gli attori politici e soprattutto economici che esiste un’alternativa al kirchnerismo, ed è un peronismo moderato che, tra l’altro, con il macrismo condivide alcune idee politiche ‘pratiche’.

María Eugenia Vidal e Horacio Rodríguez Larreta

C’è anche un obiettivo (anti Cristina) per una piattaforma comune in vista delle Presidenziali del 2019? Vidal e Larreta lo escludono e si limitano a insistere su Macri sulla necessità di persuadere gli operatori finanziari sul fatto che il suo esecutivo potrà adempiere gli impegni presi col Fondo solo attraverso la riduzione del deficit, possibile solo se i governatori accettano il taglio dei trasferimenti dal governo centrale. Missione impossibile? Di sicuro poco popolare, in primis per quei governatori intenzionati a correre ancora alle Provinciali. Sul lato politico a frenare sono lo stesso Macri e il suo capo di gabinetto, Marcos Peña, che ha un ruolo paragonabile a quello di Gianni Letta, al netto di qualche decennio di riconosciuta esperienza. Aprirsi al peronismo moderato per le prossime elezioni per la Casa Rosada non è nei piani perché, ostentando sicurezza, è lo stesso Peña a escludere che il macrismo navighi in acque difficili. O, almeno, “quello che sta perdendo Macri non è stato (ancora, ndr.) intercettato da nessuno”. Guardando alla provincia di Buenos Aires (dove vivono 17 dei 44 milioni di argentini) ciò che è certo è che la popolarità di Vidal è diminuita, mentre risale quella della Kirchner, ma, insistono, se si votasse oggi Cristina prenderebbe il 39 per cento e Vidal (da leggere Macri, nel senso che ne è lo specchio) il 41. Margini troppo stretti per escludere in modo definitivo un futuro dialogo.



Marcos Peña

L’idea del governo è di presentare alla Camera dei deputati, il 15 settembre, un progetto di legge di bilancio – il cui contenuto sia il frutto di un accordo con i governatori delle province e con i parlamentari del peronismo moderato – che permetta di operare i tagli chiesti dal Fmi. Dalla necessità di adempiere gli obblighi finanziari internazionali può nascere qualcosa? Una sorta di responsabilità in chiave sudamericana: la difficoltà sta nell’accettazione delle ragioni alla base. “Ce lo chiede il Fondo monetario internazionale” non è un passaggio facile da spiegare in campagna elettorale, più indigesto del nostro “Ce lo chiede l’Europa”. E forse, per adesso, è più agevole costruire una piattaforma ampia che abbia il fine di mettere in un angolo il kirchnerismo. Non impossibile considerando le differenze emerse all’interno del peronismo dopo il risultato di Daniel Scioli alle scorse Presidenziali, perse, secondo più di qualcuno, perché considerato sotto tutela di Cristina.

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