Non è una nostra considerazione ma il messaggio lanciato da un articolo di Anthony Faiola sul Washigton Post, il 27 dicembre. Il titolo della nota già anticipa tutto: “An Italian car of a country, Argentina looks great but just doesn’t work”. In altri termini, come si direbbe alle nostre latitudini, è un pacco, una fregatura. Salute e credibilità di due paesi sintetizzate così, in modo spietato. E forse esagerato.

Il giornalista racconta di essere recentemente tornato per la prima volta a Buenos Aires dopo la crisi innescata dal default del 2002. Cosa è cambiato da allora? A suo dire, nulla. Perché l’Argentina è di nuovo in crisi, in un circolo vizioso. Faiola sostiene che quello della crisi sia ormai lo stato naturale del paese.

argentina crisi

Ciononostante, aggiunge, parchi e edifici di Buenos Aires continuano a mostrare la loro bellezza, l’upper class ostenta ancora la sua evidente ricchezza, i giovani sono ancora pieni di vita. Insomma, l’immagine, l’aspetto è ancora il suo, innegabilmente positivo, attraente. Ma il resto?


Qui arriva la frustata del giornalista americano. “È proprio questo il problema dell’Argentina. È una automobile italiana fatta paese: esteriormente elegante e impeccabile, ma si rompe continuamente. In sostanza, l’Argentina ha una apparenza perfetta, ma semplicemente non funziona”.

Faiola ripercorre la storia recente del paese ricordando la sua grandezza all’inizio del Diciannovesimo secolo, quando addirittura poteva competere con gli Stati Uniti. Aveva più auto della Francia, era più ricca del Giappone e, come noto, si trasformò in meta di migranti di tutto il mondo. Poi, aggiunge, nonostante la capacità di uscire rapidamente dalla Grande depressione, è rimasta vittima della ricette sbagliate di Perón.


Fa sua la teoria di Jonathan Brown, secondo il quale l’arrivo al potere del General ha segnato la lenta caduta del paese, effeto di nazionalizzazioni e ‘sindacalizzazione’ della società. Poi la fuga degli investitori e le prime esperienze di inflazione. Per arrivare ai disastri economici e sociali delle dittature. Anche la ‘luce’ degli anni Novanta si è dimostrata una illusione e di lì i primi ricorsi al sostegno del Fondo monetario internazionale.

Si arriva al 2002, con “una delle peggiori implosioni finaziarie della storia moderna” che ha lasciato devastazione nell’Interior del paese. Immancabili le critiche ai governi kirchneristi, soprattutto per l’eccesso di populismo che, aggiunge, è quello che Macri sta tentando di cancellare, a cominciare dall’eliminazione di aiuti e sussidi. Ma l’Argentina è in piena tormenta, l’inflazione continua ad aumentare, così come disoccupazione e povertà.

L’economia argentina, conclude, continua ad avere costi del lavoro troppo alti, la società è divisa in termini di distribuzione della ricchezza. I prodotti manifatturieri, anche se validi, risultano poco competitivi.

Soluzioni? Nessuna proposta dal notista del Washington Post. O forse si attende l’esito delle misure e riforme decise ‘insieme’ da esecutivo e Fondo monetario. Esito sul quale nessuno, almeno finora, ha il coraggio di esprimersi.

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