3 novembre 1966, Adolfo Mena González, un uomo d’affari uruguaiano, atterrava a La Paz, Bolivia. Nella sua suite con vista sulla cima innevata del monte Illimani immortalò la propria immagine allo specchio. Sovrappeso e invecchiato, il ritratto dell’uomo con il sigaro stretto tra le labbra era quello di Ernesto Che Guevara, il rivoluzionario argentino che contribuì a rovesciare il regime di Batista a Cuba, criticò gli Stati Uniti da un seggio delle Nazioni Unite, scrisse trattati sul marxismo e sulla guerriglia e sognò di esportare il socialismo nel mondo.
Undici mesi dopo, il 9 ottobre 1967, il ‘Che’ veniva giustiziato nel villaggio di La Higuera con due raffiche di mitra da Mario Terán, un sergente ventisettenne dell’esercito boliviano. Il suo corpo, dopo essere stato trasportato da un elicottero nella vicina città di Vallegrande per essere esposto alla stampa mondiale, fu seppellito in una tomba senza nome. Sarà ritrovato solo trent’anni dopo.
“Se il Che non fosse venuto qui, nessuno di noi avrebbe un lavoro”, spiega un custode della scuola dove Che Guevara fu fucilato, oggi sacrario dedicato al rivoluzionario. È presente anche una fiorente attività di visite guidate in cui i curiosi vengono accompagnati a ripercorrere gli ultimi momenti del Che, dalla fucilazione al lavatoio dove il corpo fu esposto, fino al luogo della sepoltura.
Tuttavia, il 51esimo anniversario della morte vede gli eredi del Che versare in una situazione politicamente sfavorevole. La popolazione del Sud America sembra preferire governi di centrodestra o di destra, come in Argentina, Cile, Brasile, Perù e Paraguay. Anche il percorso di lotta armata per il socialismo scelto da Ernesto ‘Che’ Guevara è ormai abbandonato.
Dopo 53 anni di lotta armata (e altre attività anche meno nobili) anche la più grande forza ribelle della regione, le Farc colombiane, ha deposto le armi all’inizio dell’anno.