L’Argentina non è sempre un paese per puristi del castigliano della Real Academia, sebbene quest’ultima abbia nei decenni ‘approvato’ alcuni termini in uso nel lessico del paese sudamericano. Il gergo, come noto, è stato influenzato dalle enormi masse migratorie che si sono mosse soprattutto dall’Europa e termini dei luoghi di origine si sono perfettamente adattati entrando nella lingua corrente.

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Buenos Aires nel primo decennio del Novecento

Va da sé che tutti i paesi ispanici hanno il proprio argot, ma è soprattutto l’Argentina a presentare esempi di quella mescolanza, ultimamente arricchita anche dai flussi migratori dai paesi vicini, Bolivia e Paraguay in modo particolare. I vecchi immigrati provenienti dall’Europa, italiani compresi, nel corso del tempo hanno ‘imposto’ anche termini usati nei dialetti di origine. Ognuno ci ha messo il suo, insomma.

Lessico Argentina, i termini nati dalla mescolanza degli immigrati

Se noti sono i vari pibe, che, quilombo lo sono altrettanto termini in uso nel quotidiano, spesso sconfinando anche nelle conversazioni più formali di un semplice scambio tra amici e conoscenti. Il termine pibe (al femminile, piba) – ragazzo, in sostituzione dei canonici muchacho o chico – è entrato nel lessico argentino dal genovese pivetto o, in generale, dall’italiano pivello.


Un altro termine preso dall’italiano è facha, da faccia, riferendosi all’aspetto di una persona. Per esempio “qué facha!” per riferirsi al buon aspetto di qualcuno. Derivando, sei un fachero se hai la premura di ostentare sempre una certa estetica.

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Il termine mufa, invece, è il classico false friend. Non deriva dall’italiano muffa ma è relazionato alla superstizione. Nel gergo argentino si usa per riferirsi a persone accusate di essere portatori di iettatura e, di conseguenza, il verbo mufar significa portare sfortuna. Al contrario, c’è tuje, buona sorte, buona fortuna, mutuato dall’yiddish per effetto dell’arrivo in Argentina degli ebrei ashkenaziti.

Dalla Germania, altro paese europeo che ha contribuito, in misura minore, a ‘creare’ l’attuale popolo argentino, arriva il termine caput (da kaputt) a indicare un qualcosa o qualcuno ormai ‘arrivato’, finito, fallito. Il termine grosso, invece, viene dal portoghese grosso, in uso in Brasile dagli anni Ottanta. In Argentina è usato come aggettivo o sostantivo per indicare qualcosa o qualcuno di importante, grande.

Un altro termine che si fa notare nel lessico argentino è bondi (anche colectivo) riferendosi a un autobus di varie dimensioni. La sua origine è però in Brasile, precisamente a San Paolo nella prima metà del Novecento. Allora il trasporto pubblico era gestito da società britanniche e il prezzo dei biglietti era preceduto dalla parola bond.

I locali cominciarono a usarla per indicare soprattutto il tram per poi estenderlo a tutti i mezzi di trasporto collettivo. Nella lingua portoghese, però, c’era e c’è l’abitudine di aggiungere una i alle parole che terminano con una consonante e di lì si arrivò a bondi. Poi furono gli immigrati italiani a portare il termine anche a Buenos Aires e Montevideo.

Poi c’è chamuyo e chamuyar, molto in uso nel lessico giovanile. Viene dal lessico dei gitani spagnoli ed è in generale un comportamento diretto alla persuasione ma soprattutto al corteggiamento. Stessa origine hanno chorro e chorear, ladro e rubare, così come il termine luca che nel loro gergo indicava le vecchie pesetas e oggi in Argentina si usa in sostituzione di mille pesos. Dos lucas, duemila pesos.

Quilombo non manca mai nelle conversazioni informali o nelle canzoni. Ha origini africane e si è cominciato a usare in Brasile nel 17esimo secolo per riferirsi ai villaggi informali, occasionali e spesso clandestini organizzati da schiavi fuggiti dalle piantagioni. Nel gergo dell’area del Rio de la Plata, però, il termine ha cominciato a essere impiegato per indicare un postribolo, per poi diventare sinonimo di disordine, confusione.

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